Ieri a Shengal con la tensione, resa plastica dalle strade chiuse e gli scontri a intermittenza, saliva anche la sabbia. Un vento giallo e appiccicoso ha avvolto lento le proteste nei villaggi ezidi e gli scambi di fuoco tra unità dell’esercito iracheno e quelle delle forze di autodifesa dell’Amministrazione autonoma della regione.

ERA COMINCIATA nel pomeriggio di lunedì, sullo sfondo dei bombardamenti turchi contro le montagne nord-irachene, quartier generale politico e militare del Pkk, la forza ispiratrice dietro l’autonomia ezida.

È proseguita nella notte e di nuovo ieri: postazioni delle Asaysh (le forze interne ezide) e poi quelle delle Ybs (l’autodifesa da attacchi esterni) sono state prese di mira da soldati iracheni, quelli che di solito quei checkpoint li condividono con gli ezidi.

Negli scontri di lunedì nel villaggio di Dugure sono state ferite sette persone, cinque Asaysh e due civili. Poi la tensione si è allargata ai villaggi di Sinone e Khanasor, per erompere – ieri mattina – a Shengal City e a Til Ezer, sul lato nord del monte Shengal. I proiettili hanno mandato in frantumi le vetrine dei negozi, ma nessun ferito.

LA GENTE non è rimasta a guardare. Se lunedì sera, dopo il tramonto, le strade sono state calpestate dalle donne che si sono sedute a pochi passi dall’esercito iracheno (a gridargli in faccia «Vergogna, andatevene») ieri ha preso parola l’Amministrazione autonoma e la galassia di associazioni che la compongono: i membri dell’Associazione dei martiri, delle municipalità, dei comitati di base hanno presidiato i centri dei villaggi e microfono alla mano chiesto la fine degli attacchi.

La protesta delle associazioni dell’Autonomia ezida

«In questi giorni il popolo ezida celebra il Carsema Nisane (il mercoledì d’aprile, tradizionale festa di primavera, ndr) – ha recitato l’Assemblea del popolo – La nostra gente che sperava di poter celebrare questa festa sulla propria terra non può tornare a Shengal. Una forza affiliata al governo centrale ha attaccato la sicurezza pubblica ezida».

STA QUA, secondo molti, la ragione della provocazione armata dei militari iracheni. Con le uova lessate e colorate, simbolo del mondo e del cosmo nella tradizione ezida, già pronte e i vestiti tradizionali bianchi tirati fuori dall’armadio, ora le celebrazioni sono in dubbio.

«Vogliono impaurire chi ancora non è tornato – ci spiegano fonti dell’Amministrazione – Di 500mila ezidi presenti a Shengal prima del massacro dell’Isis, nell’agosto 2014, ne restano 250mila. Gli altri sono nei campi profughi in Kurdistan iracheno o sono stati portati in Europa. Molti vorrebbero tornare qui a celebrare la festa e sono tante le famiglie che pensano di rientrare nelle loro case. Facendo scoppiare la tensione, i governi della regione tentano di impedirlo, facendo passare Shengal per un posto insicuro».

I governi su cui l’Autonomia punta il dito sono quello turco, quello centrale di Baghdad e quello del Kurdistan iracheno. Su livelli diversi: «Gli attacchi di questi giorni – continuano – non sono stati ordinati da Baghdad ma da unità militari stanziate a Mosul che nei fatti sono legate al Kdp, il partito del clan Barzani, leader del Kurdistan iracheno».

ALTRA DIMOSTRAZIONE della frammentazione politica dell’Iraq, Stato fallito gestito da forze fedeli ad attori esterni, dall’Iran alla Turchia. Su cui guardano gli occhi di tutti: a voler vedere eclissata l’esperienza dell’autonomia ezida è prima di tutto Ankara, da anni impegnata su diversi fronti contro il progetto politico curdo del confederalismo democratico.

Da domenica le bombe turche continuano così a cadere sulla regione di Zap, nel nord iracheno, dove il Pkk ha la sua base. Ma l’operazione, ribattezzata «Blocco dell’artiglio», non va come previsto. Secondo il movimento curdo, sarebbero almeno 44 i soldati turchi uccisi dalle Hpg, il braccio armato del Pkk, tra loro sei alti ufficiali.

Intanto ieri, a 48 ore dall’inizio dell’operazione, si è fatta sentire Baghdad. Il governo iracheno, come successo spesso in passato per restare però lettera morta (anche a causa della carenza di sovranità dello Stato di cui dicevamo sopra), ha duramente condannato Ankara per i bombardamenti in corso.

LO HA FATTO il presidente della Repubblica Salih, curdo come previsto dalla costituzione (ma del Puk, il rivale del Kdp di Barzani alleato della Turchia): «Le pratiche unilaterali per risolvere questioni di sicurezza sono inaccettabili e la sovranità irachena va rispettata. Ci rifiutiamo di essere terra di conflitti e arena per risolvere le guerre altrui».

E lo ha fatto il ministero degli Esteri che ha convocato l’ambasciatore turco a Baghdad: «Il governo rigetta e condanna l’operazione militare turca. È una violazione della sovranità del nostro paese e un atto che viola i trattati internazionali».

Protesta, su Twitter, anche Moqtada al-Sadr, che si sogna già premier pur non riuscendo, da ottobre scorso, a mettere insieme una coalizione di governo.