Visioni

Sean Baker, «simpatiche canaglie» di un’America povera e invisibile

Sean Baker, «simpatiche  canaglie» di un’America povera e invisibile

Intervista Il regista racconta il suo «The Florida Project», film sull’infanzia presentato alla Quinzaine des Realisateurs

Pubblicato più di 7 anni faEdizione del 30 maggio 2017

Si chiama Magic Castle, è interamente dipinto di viola e si trova a due passi dal Disney world di Orlando, Florida, l’edificio in cui vive Moonee: la bambina protagonista di The Florida Project di Sean Baker, presentato alla Quinzaine des Realisateurs. Il castello magico non è però il luogo dei sogni ma un motel dove Moonee e la madre Halley vivono perché non possono permettersi una casa tutta loro.

The Florida Project è la storia dell’estate dei suoi sei anni: le scorribande con gli amici che fanno infuriare il manager del motel ( Willem Dafoe), i pomeriggi con la mamma per rivendere profumi tarocchi agli ospiti dei resort di lusso di Disney world, i waffle da mangiare tutti insieme. Ma anche lo scontro con la realtà: i servizi sociali, una madre inadeguata tanto quanto le regole che la vogliono dividere dalla figlia. Sean Baker – dopo il suo Tangerine, su una prostituta di Los Angeles – continua l’esplorazione dei mondi «ai margini» degli Stati Uniti, dai colori brillantissimi eppure invisibili per chi preferisce non guardare.

Com’è nata l’idea del film?
Chris Bergoch, mio co-sceneggiatore, mi ha mostrato molti articoli di giornale che parlavano delle famiglie senza casa  che vivono nei motel a due passi da Disney world. Conoscevo poco questo fenomeno che in America esiste da sempre: i motel che diventano l’ultima spiaggia prima di finire per la strada. Per la maggior parte dei turisti che vanno al Disneyworld queste persone sono invisibili, ma nel 2015 le statistiche parlavano di 4000 bambini che vivono nei motel.

La storia è raccontata dal punto di vista di Moonee e dei suoi amici.
Abbiamo abbassato la macchina da presa al loro livello, e spesso anche al di sotto per restituire la loro sensazione di essere già grandi. Inoltre il direttore della fotografia ha leggermente aumentato l’intensità, già molto forte, dei colori pastello del luogo, perché da piccoli la percezione sensoriale è un po’ più accentuata di quella degli adulti.

Quali sono state le sue influenze?
Tutti i principali film sull’infanzia come I 400 colpi, e soprattutto il serial cinematografico degli anni Trenta Simpatiche canaglie, in cui si raccontavano le avventure comiche di un gruppo di bambini sullo sfondo della Grande Depressione. Da piccolo mi faceva molto ridere, e solo crescendo mi sono reso conto che c’era anche un aspetto tragico: i piccoli protagonisti erano vittime della povertà. Anche in The Florida Project metto in scena delle dinamiche comiche che allo stesso tempo gettano una luce su un argomento molto problematico.

L’ambientazione è uno dei personaggi principali del film.
Volevamo che il pubblico avesse un reale senso del luogo in cui è ambientata la storia: non abbiamo mai tradito la «geografia» del Magic Castle perché alla fine del film lo spettatore sapesse ambientarsi tra i piani, i corridoi e le scale del motel. Subito dietro c’è una zona rurale, con grandi prati e mucche al pascolo, per cui i bambini vivono al confine tra due mondi radicalmente diversi

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