Italia

Sea Watch: «Riconosciuta l’incapacità della Guardia costiera libica»

Proposta una commissione di inchiesta sulle stragi di migranti nel Mediterraneo Nei 12 giorni in cui è durata l’ultima odissea della SeaWatch 3 «il governo ha mentito agli italiani, i ministri Salvini, Toninelli e Di Maio hanno mentito agli italiani e […]

Pubblicato quasi 6 anni faEdizione del 6 febbraio 2019

Nei 12 giorni in cui è durata l’ultima odissea della SeaWatch 3 «il governo ha mentito agli italiani, i ministri Salvini, Toninelli e Di Maio hanno mentito agli italiani e dovranno risponderne». Non si sa come e quando – ma soprattutto se – alcuni esponenti del governo gialloverde saranno chiamati prima o poi a spiegare , come chiesto ieri dal segretario di Sinistra italiana Nicola Fratoianni, le pesanti affermazioni fatte in quei giorni contro la ong tedesca, nessuna delle quali è poi risultata vera. Di sicuro le tragedie di migranti che si verificano nel tratto di mare che separa la Libia dall’Italia e provocate anche dalla diminuzione di navi pronte a soccorrere quanti fuggono dal Paese nordafricano saranno l’oggetto di una commissione parlamentare di inchiesta sulle stragi nel Mediterraneo e sull’operato della Guardia costiera libica chiesta dalle opposizioni.

La proposta di legge che potrebbe dare avvio all’azione parlamentare è stata presentata ieri dal deputato di +Europa Riccardo Magi. «E’ necessario che il parlamento torni ad esercitare la sua funzione di controllo», ha spiegato Magi, ricordando come solo nel 2018 le vittime contate nel Mediterraneo centrale, tra morti e dispersi, siano state 2.278.

Della commissione di inchiesta si è parlato ieri nel corso della conferenza stampa indetta da Sea Watch e alla quale, oltre a numerosi parlamentari, hanno partecipato anche l’ex senatore Luigi Manconi, presidente dell’associazione A buon diritto, e gli avvocati Lucia Gennari, in rappresentanza di Mediterranea, e Alessandro Gamberini, legale della ong. E’ stato lo stesso procuratore di Catania Carmelo Zuccaro a riconoscere come durante il soccorso compiuto il 19 gennaio al largo della Libia di 47 migranti a bordo di un gommone simiaffondato, così come nelle successive scelte della ong, non sia stato rilevato nessun comportamento illecito. «Tre punti, in particolare, sono stati messi in evidenza dalla procura etnea» ha spiegato Giorgia Linardi, portavoce di Sea Watch. «E’ stata riconosciuta la necessità dell’intervento verso un natante in difficoltà, è stata ammessa l’incapacità della Guardia costiera libica di coprire la sua area di intervento Sar (ricerca e salvataggio, ndr) al punto che per ben due giorni nessuna motovedetta di Tripoli è intervenuta e, infine, il fatto che la Sea Watch 3 non è registrata come nave adatta al trasporto di un numero elevato di persone. E questo è vero, al punto che il capitano ha chiesto di poter entrare nel porto di Siracusa proprio per la situazione di emergenza derivante dal salvataggio».

L’operato del Guardia costiera libica è un passaggio fondamentale per comprendere l’importanza del lavoro svolto da navi come quella della ong tedesca. La Marina di Tripoli infatti interviene sempre più raramente in soccorso dei barconi in difficoltà, al punto da non rispondere neanche alle richieste di aiuto. E quando lo fa riporta i migranti nei centri di detenzione dove subiscono violenze e torture. Due realtà che, per l’avvocato Gamberini, dietro alle quali ormai non è più possibile per nessuno nascondersi. «Quando la Guardia costiera italiana riceve la segnalazione di un’imbarcazione in difficoltà, anche se si trova in zona Sar libica, non può più lavarsene le mani e rimandare a un’inesistente Guardia costiera libica, perché questo configura il reato di omissione di soccorso», ha spiegato il legale.

Presente alla conferenza stampa anche il presidente del Pd Matteo Orfini, che ha criticato la politica con la Libia messa in atto dal suo partito quando al ministero degli Interni sedeva Marco Minniti. «I dubbi che alcuni di noi avevano espresso sulla strategia con la Libia si stanno rivelando fondatissimi», ha ammesso. «La strategia in Libia è fallimentare perché non garantisce il rispetto dei diritti umani e, dunque, bisogna rimettere radicalmente in discussione ciò che è stato fatto in questi anni».

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