«Fisicamente non stanno bene perché sono stati 10 giorni in mare, psicologicamente sono ancora più provati perché hanno visto morire parenti e amici»: Mamadou Gueye è uno dei mediatori che ha assistito i migranti salvati dall’ong Sea eye, sbarcati ieri a Napoli intorno alle 14. «Ci sono donne incinte, bambini, un ragazzo con il figlio la cui madre è morta. Cosa dirà a suo figlio? Scappano da miseria, guerra e sofferenza. E cosa trovano qua? Ognuno di noi dovrebbe mettersi nei loro panni». Al porto Alex Zanotelli: «È una persecuzione contro il bene, avremo sempre più morti. Vogliono eliminare le navi salvavita dal Mediterraneo, così salta la base della civiltà umana».

SEA EYE ha intercettato il primo barchino con 32 persone giovedì notte: erano in viaggio da sei giorni. A dare l’allarme è stato l’aereo da ricognizione Seabird della ong Sea Watch. I volontari hanno impiegato sei ore per raggiungerli: quando sono arrivati in due erano morti. Subito dopo hanno effettuato un secondo salvataggio con 77 persone. All’altezza di Messina in due sono stati evacuati dall’elisoccorso, uno è morto in ospedale. A Napoli sono arrivati 105 sopravvissuti e due salme, 35 i minori di cui 22 non accompagnati.

I MEDICI della sanità marittima li hanno raggiunti per un primo screening quando erano ancora in navigazione, sul molo i sanitari hanno effettuato un secondo triage: «Una donna al terzo mese di gravidanza è la sola positiva al Covid, è asintomatica ma ha dolori alla pancia – ha spiegato Ciro Verdoliva, direttore generale dell’Asl Na1 -, è in isolamento al reparto di ostetricia dell’Ospedale del Mare. Per quanto riguarda gli altri, ci sono persone con ustioni causate dagli schizzi di benzina del motore della barchino che si è incendiato, lacerocontusioni, fratture, ferite aperte e qualche cronicità da diabete. Poi c’è una persona che ha meno di 40 anni con cataratte a entrambi gli occhi. Ora valutiamo se si può intervenire».

SONO STATI ALLESTITI 20 posti letto all’Ospedale del Mare, gli altri avranno la prima accoglienza nel residence del nosocomio, i minori non accompagnati saranno poi spostati domani nel centro del comune a Miano. Due bambini sono stati ricoverati al Santobono: «Hanno problemi di deambulazione e sono un po’ soporosi». Attraversare il Mediterraneo d’inverno li ha esposti a condizioni estreme: niente cibo né acqua, allo sbarco erano debilitati, provati dall’ipotermia sofferta.

NELL’EQUIPAGGIO della Sea eye c’è Pietro Bertora: «Sono partiti dalla Libia. Sulla prima barca, in mare da 6 giorni, avevano cominciato a bere l’acqua di mare, cosa che poi ha procurato loro grossi problemi, erano allo stremo delle forze. Nei giorni precedenti le condizioni meteo erano state cattive, anche per questo erano in balia del mare da tanto. Poi si sono guastate di nuovo quando abbiamo passato lo stretto di Messina e sono rimaste difficili fino a domenica. A bordo i naufraghi hanno avuto le prime cure e per molti le condizioni sono migliorare, chi aveva le ustioni ai piedi è stato sbarcato in sedia a rotelle».

LE NORME INTERNAZIONALI impongono l’obbligo del salvataggio nel porto sicuro più vicino. La Sea eye4 era a 93 chilometri da Pozzallo ma il Viminale prima li ha indirizzati a Pesaro, distante 1.111 chilometri pari a 5 giorni di navigazione, e poi (dopo le proteste del comandante) a Napoli, 487 chilometri pari a due giorni e mezzo in più, con due cadaveri a bordo. Al molo c’era Mediterranea saving humans con Laura Marmorale: «Abbiamo dato un simbolico benvenuto ai migranti e all’equipaggio, hanno patito un tour del Mediterraneo non necessario, un gioco al massacro organizzato dal governo contro le Ong mentre, tra sabato e domenica, la Capitaneria di porto ha portato in salvo circa 800 persone al largo di Lampedusa. Sulla Sea eye invece un migrante in condizioni gravissime è peggiorato ed è poi deceduto a Catania. Queste morti pesano gravemente su chi gestisce le politiche di salvataggio e accoglienza come fossero una questione di ordine pubblico».

IL MOVIMENTO MIGRANTI e Rifugiati con Mari

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Alla deriva senza acqua, dieci morti su un barconeema Faye: «Il calvario non si ferma al porto di Napoli. Spesso vivere in Italia senza documenti vuol dire vivere alla mercé della criminalità, della clandestinità e della invisibilità. Serve un progetto di accoglienza e regolarizzazione».