In una parola
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Se vuoi pace prepara la pace. O no?

In una parola La rubrica settimanale a cura di Alberto Leiss
Pubblicato circa 2 anni faEdizione del 11 ottobre 2022

All’armi! All’armi! Si vocifera ormai sempre più insistentemente di una – o addirittura più di una – manifestazione per chiedere la cessazione dei combattimenti nell’ Ucraina aggredita da Putin, e la convocazione di una conferenza, o comunque di trattative per arrivare a una qualche soluzione di un conflitto che rischia di degenerare in guerra nucleare.

La cosa allarma, appunto, a quanto pare alcuni commentatori del Corriere della sera. Dopo Massimo Franco (sabato scorso) e Beppe Severgnini (domenica), ieri ecco l’editoriale di Angelo Panebianco. Il giornale parla quotidianamente, con fondamento, delle vittorie di Zelensky. Il suo appello è invece a non sottovalutare le «vittorie di Mosca» grazie al fatto che «stanchezza e assuefazione» e soprattutto «paura» della bomba – di cui «si bisbiglia a voce bassa» – possano indurre le «opinioni pubbliche europee» a demordere dal pieno appoggio all’Ucraina. Ecco il paradosso: Putin che ora sta perdendo potrebbe spostare a suo vantaggio la situazione.

Nel mirino di Panebianco ovviamente la manifestazione «per la pace» – con virgolette d’autore. Si spera che non venga chiesta «alle vittime come ai carnefici, ma solo a questi ultimi».
È la solita accusa: tutti vogliamo la pace, ma voi la chiedete parteggiando per l’autocrate russo! Gratta il pacifista e trovi il putiniano!

Sembra di capire che l’alternativa è solo quella di condurre la guerra fino alla vittoria. E se si arriva alle bombe atomiche russe? Europa e Nato assicurano già che le risposte saranno adeguate. Biden più esplicitamente parla di Armageddon. L’apocalisse entra tranquillamente nei «bisbigli a bassa voce» davanti al caffè.

Per fortuna proprio il Corriere, giornale aperto a opinioni diverse, mi ha segnalato con una delle sue interessanti news-letter (lo confesso: ho un abbonamento) che sulla più autorevole rivista di politica internazionale americana, Foreign Affairs, si comincia a riflettere proprio sul fatto che si dovrebbe avvicinare l’ora della trattativa, uscendo dalla spirale dell’escalation. Una totale sconfitta della Russia potrebbe essere «un problema per l’America»: già al tempo del crollo dell’Urss che mise fine alla guerra fredda gli Usa non seppero e non vollero guidare l’occidente a una politica di maggiore apertura verso il paese ex-sovietico e alla costruzione di una pace internazionale più stabile.

Lo ha scritto ieri sulla Stampa anche Domenico Quirico: proprio nel momento in cui si avvicina il baratro nucleare forse la pace «diventa possibile». Del resto ci saranno dei motivi se proprio da fonti americane, veicolate dal New York Times, filtrano le notizie sulle responsabilità ucraine nell’attentato alla figlia di Dugin, e nell’esplosione sul ponte di Kerch.

Ma se una spinta in questa direzione viene da un mondo di persone di buona volontà laiche e cattoliche, che certo non tifano per Putin, ecco l’accusa di «antiamericanismo» ecc. Mentre si stiracchiano a proprio uso le parole di un papa che invece mi pare abbia sempre parlato e agito in modo chiarissimo sulla solidarietà a chi è stato aggredito ma anche sulla «pazzia» della guerra.

Infine solo una parola a Beppe Severgnini che da giovane non si faceva ingannare da chi protestava contro i missili americani a Comiso e in Europa. Quelle manifestazioni però, volute anche da uomini come Berlinguer e Pio La Torre, erano rivolte sia contro i Cruise americani, sia contro gli SS20 sovietici. Le testate Usa non arrivarono in Sicilia, e poi Reagan e Gorbaciov decisero di sbaraccarle tutte. Era giusto manifestare allora, come lo è oggi.

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