«Se non fermiamo i «nuovi» Ogm metteremo a rischio la filiera bio»
Intervista Stefano Mori e Francesco Panié di "Crocevia": «Una parte della scienza è pulita e fa un lavoro di studio, l’altra è asservita agli interessi dell’industria»
Intervista Stefano Mori e Francesco Panié di "Crocevia": «Una parte della scienza è pulita e fa un lavoro di studio, l’altra è asservita agli interessi dell’industria»
Con la proposta delle New Genomic Techniques (NGT), o Tecniche di Evoluzione Assistita (TEA), le compagnie biotech stanno portando L’Europa a valutare una deregolamentazione delle normative che permetterebbero l’uso di colture geneticamente modificate. L’Italia ha già dato il via alla sperimentazione, anticipando gli esiti della proposta avanzata dalla Commissione Europea e ora al vaglio degli Stati membri, che abolirebbe tracciabilità obbligatoria, etichettatura e valutazione del rischio. A delineare le motivazioni che inducono una larga fetta della società civile a diffidare delle Tea, è il libro uscito per Terra Nuova Edizioni Perché fermare i nuovi Ogm, di Stefano Mori e Francesco Panié, rispettivamente coordinatore e campaigner del Centro Internazionale Crocevia. L’organizzazione da anni sostiene progetti per l’agroecologia e la sovranità alimentare, è parte del coordinamento europeo di Via Campesina, rappresentato in Italia dall’Associazione Rurale Italiana (Ari), ed è una delle principali realtà attive nel contrastare gli Ogm in Europa. Ne parliamo con gli autori.
Quali sono le principali differenze fra Ogm e Tea?
(S.M). La narrazione che accompagna le New Genomic Techniques afferma che queste non mescolano più i geni di due diverse specie, ma eseguono un taglio del genoma descritto dai promotori come preciso e meno invasivo, incrociando al massimo genomi di specie affini. Nella pratica però, una delle tecniche più utilizzate, la Crispr/Cas9, prevede l’inserimento di un batterio, quindi di un microrganismo esogeno alla pianta. La promessa di una tecnologia precisa è molto dibattuta perché, come hanno fatto notare alcuni genetisti, il funzionamento del genoma vegetale e umano è in parte sconosciuto, e non possiamo prevedere gli effetti del taglio del Dna che servirebbe a silenziare o potenziare alcuni tratti genetici. Preoccupano quindi i cosiddetti off-target, cioè le mutazioni genetiche involontarie che si generano a centinaia, con impatti potenziali sull’ecosistema o la salute umana, dato che non ci sono dati al riguardo. Quindi questa tecnica è di nuovo, in pratica, un rischioso tentativo di superare i limiti della natura.
Il libro parla delle false promesse degli Ogm, cosa emerge?
(F.P.) Oggi le 4 principali colture geneticamente modificate, soia, mais, colza e cotone, ricoprono solo il 5% della superficie globale e nonostante venissero già propagandate come necessarie per sfamare il mondo, forniscono essenzialmente tessile, biocarburanti e mangime per gli allevamenti intensivi. Inoltre i dati parlano dell’incremento dell’uso di erbicidi nelle coltivazioni Ogm, a causa dell’adattamento delle infestanti e del costo dei semi: negli Usa, dove gli Ogm sono sdoganati, è aumentato del 460 % negli ultimi 20 anni, secondo il Dipartimento dell’agricoltura USA. E’ per questi motivi che gli unici paesi europei con coltivazioni GM, Spagna e Portogallo, stanno diminuendo drasticamente la produzione.
E le promesse delle Ngt?
(F.P.) Il genetista Yves Bertheau, che abbiamo intervistato, fa notare come l’idea di base delle Ngt di sfamare la popolazione è contraddetta dal fatto che stiamo già producendo troppo rispetto a quello che ci serve, e che la malnutrizione e la fame non sono problemi che possiamo risolvere aumentando la produttività di una pianta, ma migliorando il sistema globale di distribuzione del cibo. La nuova promessa che intende presentare le piante Tea più resistenti ai cambiamenti climatici, si scontra con una varietà di eventi a cui verosimilmente solo un’agricoltura adattata nel tempo potrà fare fronte. In realtà ci sono interessi economici molto precisi che derivano dai brevetti sul vivente. Laddove le risorse dell’accumulazione materiale scarseggiano, il ciclo di appropriazione della biodiversità si sposta in ambito immateriale, permettendo a pochi soggetti di acquisirne la proprietà.
Che cosa succederà se L’Europa apre alle Tea?
(S.M.) Se la nuova normativa passerà i nuovi Ogm saranno equiparati alle colture convenzionali e questo è molto grave perché sarà impossibile identificarli. Gli stati perderanno la possibilità di vietarne la coltivazione sul proprio territorio. L’Italia, che ha già alleggerito le regole sulla sperimentazione in campo senza neanche aspettare il Parlamento europeo, sta rischiando di mettere a repentaglio la filiera biologica con cui è coltivato il 18% del suolo, perché se sarà impossibile tracciare gli Ogm il bio verrà contaminato.
Nel libro si parla della pericolosa relazione tra scienza e capitale, in che senso?
(F.P.) Abbiamo cercato di dare una profondità storica delle traiettorie con cui il capitalismo applicato all’agricoltura ha beneficiato del biotech, mostrando come se una parte della scienza è ancora pulita e fa un lavoro di studio e approfondimento, un’altra invece è asservita agli interessi dell’industria. Prima di poter dire se queste tecnologie fanno bene o fanno male, è fondamentale regolamentarle in maniera diligente, come gli Ogm di prima generazione, e capire qual è il vero impatto senza sottrarsi allo scrutino della società civile, che vuole avere il suo posto nel dibattito e deve averlo. Non possiamo pensare che qualcuno relegato nei laboratori possa trovare la risposta alle sfide del nostro tempo, concentrando potere nelle mani delle multinazionali dell’agroindustria.
Cosa sta facendo la campagna internazionale contro le Tea?
(S.M.) Facciamo pressione istituzionale e supportiamo il lavoro di base dei movimenti contadini e cittadini che si mobilitano per chiedere agli enti locali, alle reti della distribuzione organizzata, alle associazioni agricole di riferimento, di schierarsi contro i nuovi Ogm. Il libro vuole essere uno strumento per portare il discorso nei territori, perché crediamo che mobilitazione di base e pressione politica debbano andare insieme se si vogliono raggiungere dei risultati.
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