Se la filosofia ritrova le piazze
Opinioni È Kant che ha convocato in piazza i ragazzi del mondo, pregandoli di non temere l’entusiasmo ideale-morale (la natura del concetto di diritto). La posta in gioco è la civiltà o la guerra
Opinioni È Kant che ha convocato in piazza i ragazzi del mondo, pregandoli di non temere l’entusiasmo ideale-morale (la natura del concetto di diritto). La posta in gioco è la civiltà o la guerra
C’è piazza e piazza, naturalmente, e una cosa è Socrate che dialoga con gli apprendisti della classe dirigente di Atene, un’altra che Kant scenda in piazza con un megafono e chiami a corteo i ragazzi di tutte le scuole d’Europa e d’America, a gridare fiat justitia, etsi pereat mundus. Improbabile dite? Eppure forse sta succedendo.
Prima di tutto è Kant stesso a spiegarci che l’interpretazione del questurino – e anche quella degli intellettuali realisti, relativisti, storicisti e antimoralisti che cantano in coro – sono sbagliate. Che quella bella scritta che campeggia nel suo vermiglio latino su uno striscione bianco dice il contrario di un radicalismo omicida: dice «ossia: ‘regni la giustizia, dovessero anche per essa perire tutti insieme gli scellerati che esistono nel mondo’, è un principio di diritto coraggioso, che taglia le vie tortuose tracciate dall’inganno e dalla violenza».
(Pausa. Riguardiamo la mappa attuale di Israele-Palestina. Anzi risaliamo pure alla linea tracciata dall’Onu nel ’47, e che non è mai stata un confine. E riguardiamoci anche la mappa della presenza Nato a est di Berlino – dove non avrebbe dovuto estendersi di un solo pollice, secondo la promessa fatta nel 1990 dal Segretario di Stato americano James Baker a Michail Gorbaciov che se la bevve, non gliela fece scrivere, e diede in cambio il via libera all’unificazione della Germania e quindi alla nascita dell’Unione Europea. Fine pausa).
Un principio di diritto coraggioso! Prosegue Kant: «Purché non venga frainteso…come facoltà di usare del proprio diritto fino alle conseguenze più estreme (contraddicendo al dovere morale), ma sia inteso come obbligo, da parte di quelli che hanno il potere, di non rifiutare o limitare ad alcuno il suo diritto per avversione verso di lui o commiserazione verso altri». Kant, 1795, Per la pace perpetua, Appendice I.
Né il questurino dal manganello impazzito né il coro realista e antimoralista hanno dato al prof. il tempo di spiegarsi, e di spiegargli l’obbligo “di quelli che hanno il potere”. Ma ha poca importanza, perché il suo appello è passato lo stesso. In tutt’Europa da Est a Ovest, e nel continente americano da Nord a Sud. Dev’essere veramente alta la posta in gioco, se nei campus e nelle scuole del mondo sta rinascendo lo spirito delle leggi, che in definitiva soffia solo nei nostri polmoni, quando la lettera la si calpesta tanto brutalmente come oggi avviene del diritto internazionale.
L’ambasciatore israeliano Gilad Erdan che passa la carta dell’Onu nel tritacarte, dopo che la sua Assemblea Generale ha riconosciuto a larghissima maggioranza il titolo della Palestina ad essere ammessa in pieno nel consesso delle Nazioni Unite, è una bella immagine di cosa può avvenire alla lettera delle leggi quando lo spirito non soffia più. Ancora più icastica è quella del re che resta nudo, il rappresentante statunitense che vota no, e mostra quanto effettivamente la pace attraverso il diritto e la giustizia gli stiano a cuore (Tommaso Di Francesco, il manifesto, 12 maggio).
La redazione consiglia:
Meloni: alcuni manifestanti sono provocatori professionistiMa quando non soffia più, lo spirito? In un saggio di cent’anni fa, L’Europa smarrita, Robert Musil offre una spiegazione di cosa nelle coscienze aveva preparato la catastrofe della Grande Guerra. È sorprendente: che la filosofia aveva lasciato la nostra vita al buio. Il tempo rifiutava offerte «che non coincidessero coi fatti». E così la storia ne aveva preso il compito: interpretare il presente. Ma la storia è cieca al presente. Si occupa di fatti, non dei valori – anzi soprattutto dei disvalori – di cui facciamo esperienza: e così lascia la vita “priva di concetti ordinatori”.
È questo che Musil chiama lo smarrimento, che ci induce a delegare ad altro che a noi stessi le nostre vite – e le scelte che ricadranno sul destino di tutti. A delegarle agli “specialisti” dei fatti – economici, sociali, giuridici, politici – oppure direttamente alla politica. Ma «la politica, al modo in cui viene concepita oggi, è la rivale più pura dell’idealismo, quasi la sua perversione. L’uomo che specula al ribasso con gli uomini, che si ispira alla Realpolitik, ritiene reali soltanto le bassezze dell’uomo, ciò vuol dire che egli tratta la bassezza come la sola cosa su cui fare affidamento; costui non fa leva sulla convinzione, bensì sempre soltanto sulla coercizione e sull’astuzia».
Vi ricorda qualcosa? È anche così che, perduti nel pollaio di casa, perdiamo la visuale dell’altezza della posta in gioco. Ecco perché Kant ha convocato in piazza i ragazzi del mondo, pregandoli di non temere l’entusiasmo, che «si riferisce solo e sempre a ciò che è ideale, a ciò che è puramente morale (e di questa natura è il concetto di diritto…)». Lo spirito che soffia dai loro polmoni infine è solo un soffio di speranza: è la salvezza del sottilissimo, fragilissimo strato di umanità civile che i vincoli del diritto universale delimitano, e sotto il quale preme l’oceano di ferocia e stupidità della nostra natura arcaica, intatta ribollente e tribale. La posta in gioco è l’ordine civile o il caos, la civiltà o la guerra.
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