Cultura

Se il futuro della sinistra passa dalla guerra di Putin all’Ucraina

Se il futuro della sinistra passa dalla guerra di Putin all’Ucraina

SCAFFALE Da oggi in libreria e online il nuovo numero di Micromega dedicato al conflitto in atto e alle sue ripercussioni

Pubblicato più di 2 anni faEdizione del 14 luglio 2022

E se il futuro della sinistra passasse per l’Ucraina? Se anche al di là del dibattito concreto sulla guerra e la pace, il posizionamento politico e culturale espresso da ciascuno ci parlasse dell’avvenire di un intero mondo, dell’esistenza o meno di un orizzonte che auspica la trasformazione dell’esistente? Di fronte ai temi evocati nell’ultimo numero di Micromega, dal titolo «Guerra, pace, resistenza», disponibile da oggi in versione sia cartacea che digitale (www.micromega.net), è istintivo porsi la domanda, data anche l’attenzione che fin qui la rivista diretta da Paolo Flores d’Arcais ha dedicato non tanto e non solo a quanto accadeva sul campo, ma a quelle retrovie del conflitto lungo le quali sta emergendo la capacità delle sinistre di proporre analisi e indicazioni all’altezza della drammatica situazione attuale.

A PIÙ DI QUATTRO MESI dall’inizio del conflitto, Micromega tira le somme, rilanciando allo stesso tempo la centralità di questo dibattito attraverso un questionario proposto ad alcune personalità della sinistra «diffusa» sui punti più controversi: il sostegno alla resistenza ucraina, l’invio di armi, il ruolo dell’Occidente, la minaccia nucleare. Molte le voci coinvolte, tra cui Rosi Braidotti, Luciano Canfora, Dacia Maraini, Furio Colombo, Erri De Luca, Gad Lerner, Moni Ovadia, Norma Rangeri, Cinzia Sciuto, Giuliana Sgrena. Il numero si apre con un intervento critico di Flores d’Arcais sulle posizioni di Habermas sulla guerra, e si chiude con i testi di Giovanni Savino, Mischa Gabowitsch e Mario Barbati che analizzano l’ideologia nazional-imperiale di Putin e il sostegno di cui ha goduto in Europa. Quanto allo spazio «a più voci», emerge «un ricchissimo mosaico di posizioni, (anche se) talvolta amaramente incompatibili fra loro».

Così, Norma Rangeri evoca la nascita del manifesto, in risposta all’invasione sovietica di Praga nel 1968, per fissare il contesto che vede oggi «i carri armati e i missili di Putin che occupano e bombardano l’Ucraina per rovesciarne il legittimo governo». «Di questa guerra medioevale nel cuore dell’Europa – aggiunge Rangeri – mi ha colpito il fatto che fosse voluta da un uomo solo al comando. Un autarca che non conosce opposizione perché nel suo Paese gli oppositori rischiano la vita (…) Un’invasione decisa da un nemico delle democrazie, derise come incapaci di soddisfare i bisogni del popolo, e per questo diventato il beniamino degli autocrati di tutto il mondo. Attenti discepoli alla Salvini, amici del cuore alla Berlusconi, estimatori come Trump, Bolsonaro, Le Pen».

QUANTO A ROSI BRAIDOTTI, dopo aver ribadito come «tutte le guerre sono dominate dai peggiori modelli di mascolinità tossica», sottolinea che «essere a favore della pace è tutto salvo passività accondiscendente e indifferenza alle sofferenze altrui», in questo caso, quindi, anche appoggio a chi resiste. Netta anche la posizione di Erri De Luca che afferma: «Credo nel diritto dei popoli di resistere in armi alle invasioni». Quanto all’invio delle armi, «lo ritengo giustificato perché richiesto dalla nazione che abbiamo scelto di sostenere». Mentre Giuliana Sgrena pensa «che il continuo invio di armi impedisca la ricerca di una soluzione negoziata e prolunghi l’agonia della popolazione». Se per Monia Ovadia, quella in corso è «una guerra per procura», scatenata da Putin ma che ha come sfondo «il modus operandi dell’Occidente e soprattutto degli Usa», per Furio Colombo, «il problema di Mosca non è la vicinanza delle frontiere Nato, ma un Paese confinante retto da un regime democratico».

Gad Lerner vede riemergere nelle posizioni filo-Putin «il revival di una corrente di sinistra giustificazionista della repressione operata in Ungheria, Polonia e Cecoslovacchia dall’Urss (…). Chi si ribella solo in apparenza è popolo. Si tratta in realtà di agenti delle potenze capitalistiche». E Cinzia Sciuto delinea il prendere corpo di tre sinistre: quella «francescana», «sinceramente antiputiniana, ma che non riesce ad essere pienamente filoucraina perché non tollera l’uso delle armi»; quella «illiberale, che all’obiettivo supremo di una società egualitaria è disposta a sacrificare le tipiche libertà liberali», e «una sinistra giustizia e libertà (…) erede dei movimenti dissidenti dei Paesi dell’Europa dell’Est contro i regimi comunisti, una sinistra che ha l’antitotalitarismo nel Dna».

Sul fondo, per tutti l’orizzonte è una pace da costruire nella giustizia. Perché, come conclude Rangeri, «la guerra è capace solo di nutrire se stessa, non c’è salvezza se non nella pace, una pace giusta che restituisca la luna a Kyïv (…) L’unico ideale per cui vale la pena spendersi e lottare».

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