Scritti e discorsi di Patrick McGrath, dal gotico letterario a quello psichico
Cinquantatré anni fa uscì in Francia La letteratura fantastica di Tzvetan Todorov, tra le cui pagine i testi narrativi soprannaturali del XIX secolo venivano associati a quelle zone della psiche che Freud suoi successori avevano cartografato: vampiri, morti viventi, fantasmi, gli spazi ctoni delle cripte e dei sepolcri, le segrete di castelli e abbazie gotiche o romaniche, le dimore più o meno maledette, luoghi popolati da figure che sono altrettante incarnazioni finzionali di pulsioni e fobie riversate in narrazioni cifrate: allegoriche traduzioni del linguaggio dell’inconscio.
L’interpretazione freudiana dei sogni guida le analisi di Todorov sul racconto fantastico ottocentesco, di cui mostra come fosse un canale privilegiato per dare la parola al rimosso, e come veicolasse ciò che i codici morali dell’epoca consideravano indicibile. L’intima coniugazione di psicosi e rimosso è il fil rouge che, in qualche modo, tiene insieme i testi di Patrick McGrath, raccolti nella miscellanea Scrivere di follia (traduzione di Alberto Pezzotta, La nave di Teseo, pp. 251, € 20,00), contenente discorsi (come quello che dà il titolo all’intera silloge), articoli, prefazioni e recensioni.
All’inizio del libro, un interessante scritto autobiografico, «Crescere a Broadmoor», centrato sull’infanzia dell’autore trascorsa nei pressi dell’ospedale psichiatrico (o meglio, manicomio criminale) diretto da suo padre, che è a tutti gli effetti un piccolo spaccato dell’Inghilterra anni Sessanta, specie della sua faccia meno rassicurante, quella dei celebri serial killer. Il saggio «Trasgressione e decomposizione» si concentra sul genere preferito di McGrath, il gotico, evidenziando il suo indubbio debito con Todorov, benché mai nominato, genere sul quale lo scrittore inglese torna nella sezione successiva, «Prefazioni», dove accanto a autori prevedibili (Stoker, Stevenson, Poe, Walpole, Lewis, Le Fanu, Mary Shelley Wollstonecraft, Shirley Jackson, Daphne Du Maurier) compare a sorpresa Melville e soprattutto John Hawkes, scrittore altamente idiosincratico e sperimentale, che in Italia ha avuto pochissima fortuna, e ha attraversato generi diversi, a partire da romanzo d’esordio, The Cannibal, che già nel 1949 apriva la strada poi imboccata, tra gli altri, da Thomas Pynchon. Oltreoceano Hawkes viene considerato uno degli iniziatori del postmodernismo, ma McGrath lo fa rientrare disinvoltamente nel gotico: un azzardo ancora maggiore di quello riservato a Frankenstein, generalmente considerato il testo inaugurale della fantascienza.
L’interpretazione psicoanalitica del gotico non è, peraltro, l’unica praticabile, come attestano sia la recente monografia di De Ceglia, Vampyr (Einaudi) sia i saggi di Roger Luckhurst (purtroppo non tradotti) su mummie e zombie interpretati alla luce dei cultural studies.
Mentre esprime il canone del tutto personale di McGrath, Scrivere di follia offre qualche interessante intuizione (per esempio quando riconnette il Frankenstein al dibattito sulla schiavitù nel Regno Unito ai primi dell’Ottocento). E stando al titolo originale, Writing Madness, può anche alludere alla pazzia di scrivere da parte di un autore, McGrath, che con ogni probabilità non si sente troppo estraneo alle figure insane del gotico, e alle folli vicende dei suoi autori.
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