Anche la Scozia si prepara a votare per le General Elections britanniche di domani. I cittadini scozzesi votano infatti per due parlamenti e dunque due governi. Il parlamento di Edimburgo, creato nel 1999 e al momento a maggioranza Scottish National Party (Snp) – il partito di governo – per cui si rivoterà nel 2026. E il parlamento di Londra, ovvero del Regno Unito, per cui si voterà domani.

Al livello del governo di Edimburgo, lo Snp rimane forte nei sondaggi, nonostante i picchi degli scorsi anni – quando al governo c’era Nicola Sturgeon – siano ormai ben distanti. In vista dell’elezione nazionale di domani, invece, il quadro sembra essere diverso, con i laburisti scozzesi probabilmente destinati a diventare il primo partito. Lo mostrano con chiarezza i dati del più recente sondaggio di YouGov, che danno i laburisti al 35% e gli indipendentisti ben 6 punti sotto.

Gli stessi sondaggi mostrano che voterà Labour un quarto degli elettori scozzesi che nelle ultime General Elections, quelle del 2019, si sono espressi a favore dello Snp. Un trasferimento di voti verso i laburisti molto significativo e che riguarda, con percentuali simili, anche gli altri maggiori partiti in corsa: conservatori e liberal-democratici. E le ragioni sono diverse.

La prima è strutturale: vi è storicamente un importante bacino elettorale in Scozia che vota solitamente lo Snp, che vuole l’indipendenza, ma che alle General Elections vota Labour per contribuire strategicamente (voto utile) all’insuccesso dei conservatori a Londra. Si tratta degli indipendentisti progressisti – ‘di sinistra’. Lo stesso meccanismo potrebbe svantaggiare i Verdi Scozzesi, partito rafforzatosi parecchio negli ultimi anni. Insomma, tanti elettori che non votano solitamente i laburisti potrebbero farlo domani per opporsi a un potenziale nuovo governo conservatore di Rishi Sunak a Londra.

Ma ci sono anche fattori più specificamente legati al contesto attuale. Anzitutto, le cose per lo Snp e per la campagna per l’indipendenza non stanno andando bene. Se fino alla fine del 2022 il consenso per il partito e per il governo guidato da Nicola Sturgeon era forte, tanto che la premier aveva annunciato di voler indire al più presto un secondo referendum, il 2023 è stato assolutamente tragico.

Prima la Corte Suprema di Londra aveva posto il veto su un secondo referendum, poi sia Sturgeon che suo marito erano stati (provvisoriamente) arrestati nell’ambito dell’inchiesta sull’uso improprio da parte dello Snp dei fondi raccolti per la campagna indipendentista. Di conseguenza, la fino ad allora popolarissima Sturgeon si è dimessa, lasciando partito, governo, e campagna indipendentista sotto una guida decisamente meno solida.

A Sturgeon è seguito il governo di Humza Yousaf, sulla stessa linea riguardo a indipendenza e politiche progressiste, ma decisamente meno stabile – tanto da essere durato solo un anno. L’incarico di primo ministro e leader dello Snp è andato poi a John Swinney, promotore anche lui della linea indipendentista-progressista. Swinney non gode però di una posizione troppo solida e ha dovuto cedere alle pressioni interne dell’ala conservatrice dello Snp, lasciandosi affiancare, come sua vice, da Kate Forbes, apertamente contraria, per esempio, all’espansione dei diritti per persone trans e non-eterosessuali.

Il risultato di un 2023 tanto tragico è non solo un affievolimento del supporto popolare allo Snp, ma pure alla campagna per l’indipendenza. Anche questo mostrano i dati YouGov: alla domanda «quale questione peserà di più nella tua scelta su chi votare nelle General Elections?», solo il 17% ha indicato «indipendenza da Londra» – quinta dietro sanità, costo della vita, economia e immigrazione. La questione dell’indipendenza, dunque, sembra meno centrale che in passato.

A beneficiare di tutto ciò sembra anzitutto l’unità del Regno Unito, che ad oggi sembra sempre meno in reale pericolo. Ma forse ancor più Keir Starmer, leader dei labouristi a livello nazionale e candidato forte al ruolo di primo ministro, che probabilmente domani guarderà a Edimburgo con ottimismo.