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Scontro armato nel Nord-Kosovo, quattro vittime

Scontro armato nel Nord-Kosovo, quattro vittimePolizia kosovaa davanti al monastero di Banjska – Ap

Uccisi un agente albanese e tre «rivoltosi»serbi. I timori di Ue, Usa e Nato. Albin Kurti: sono terroristi legati alla Serbia. Vucic: il responsabile è il premier di Pristina

Pubblicato circa un anno faEdizione del 26 settembre 2023

«La situazione ora è calma ma gravida di tensione»: è l’intercalare che dal 1999 – la guerra «umanitaria della Nato» e dal 2008, data della dichiarazione unilaterale d’indipendenza di Pristina – descrive la situazione del Kosovo, tra cacciata della minoranza serba, assalti ai monasteri ortodossi sotto la «vigile» Nato, uccisioni di civili.

Stavolta però è accaduto qualcosa di nuovo, con il ritorno degli scontri armati. Nella notte tra sabato e domenica nel villaggio di Banjska, presso Zvecan, nel nord del Kosovo a maggioranza serba, la polizia albanese era intervenuta per rimuovere un blocco stradale eretto dalla popolazione serba locale, per una protesta che va avanti da molti mesi contro la politica discriminatoria delle autorità di Pristina – ormai anche secondo l’Amministrazione Usa. Ma contro gli agenti è stato aperto il fuoco, uno di loro è rimasto ucciso e due feriti. Protagonista – per i media kosovaro albanesi – sarebbe un gruppo di una trentina di rivoltosi serbi armati con armi da guerra, con passamontagna e «autoblindo». La battaglia è continuata per tutta la giornata dopo che i rivoltosi si sono asserragliati nel vicinoi monastero ortodosso di Banjska; in serata le forze di polizia kosovaro-albanesi sono penetrate nel monastero dopo avere ucciso tre rivoltosi serbi e e dopo averne catturati sei. Le autorità religiose del monastero avevano denunciato il pericolo per l’incolunità di fedeli e turisti arrivati dalla Serbia.

La presidente kosovara Vjosa Osmani ha proclamato per ieri una giornata di lutto nazionale in memoria di Afrim Bunjaku, il poliziotto ucciso. Il premier Albin Kurti ha accusato Belgrado di sostenere «formazioni armate e criminali serbe nel nord del Kosovo» e di attacco «terrorista» alla «sovranità kosovara».Il presidente serbo Aleksandar Vucic pur condannando l’uccisione del poliziotto, ha addossato invece a Kurti la responsabilità dell’accaduto: è il risultato della sua politica di «terrore» fortemente antiserba. «l’unico responsabile per quanto sta accadendo è Kurti, con l’aiuto della comunità internazionale», ha dichiarato Vucic, secondo cui la leadership kosovara vorrebbe un nuovo conflitto tra la Serbia e la Nato. L’alto rappresentante per la politica estera Ue, Josep Borrell, ha condannato «l’orribile attacco», chiedendo che tutti i fatti «vengano chiariti e i responsabili devono affrontare la giustizia». Gli ha fatto eco l’inviato speciale dell’Ue per il dialogo Belgrado-Pristina Miroslav Lajcak, affermando che «la violenza in ogni forma è inaccettabile» e che «tutti devono tornare immediatamente al dialogo» Anche la missione Kfor-Nato ha condannato l’attacco.

Ritorno al dialogo? Solo poco più di una settimana fa erano nuovamente falliti i colloqui tra Kurti e Vucic patrocinati dalla Ue con il respingimento da parte di Kurti delle due proposte di mediazione accettate dalla Serbia: nuove elezioni nel Nord-Kosovo nei comuni serbi che – dopo l’astensione della maggioranza serba per protesta contro Kurti – erano stati rimpiazzati da elezioni suppletive che avevano eletto sindaci albanesi votati da poche decine di elettori, elezioni condannate perfino dal segretario di Stato Usa Blinken; e l’istituzione dell’Associazione delle comunità serbe, decisa unanimemente dalla comunità internazionale nel 2013 ma sempre azzerata da Pristina. L’atteggiamento di Kurti all’uktimo vertice Ue è stato condannato da Josep Borrell.

Ora il Kosovo sembra rientrare, com’è inevitabile, nello «scenario ucraino». Per il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, «Mosca segue la situazione nel Kosovo che è estremamente difficile e potenzialmente pericolosa», E a Bruxelles è stato subito convocato ieri un incontro fra gli inviati Ue e Usa, Miroslav Lajcak e Gabriel Escobar, con i consiglieri diplomatici di Francia, Germania e Italia.

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