Sciopero a Gedi: «Tutte le testate a rischio vendita»
Editoria La proprietà della famiglia Agnelli, dopo L’Espresso, tratta altri giornali locali. Ma anche Repubblica può essere liquidata
Editoria La proprietà della famiglia Agnelli, dopo L’Espresso, tratta altri giornali locali. Ma anche Repubblica può essere liquidata
Da quando a dicembre 2019 gli Agnelli si sono comprati Repubblica le cose vanno sempre peggio. Ieri i giornalisti dell’intero gruppo Gedi – oltre a Repubblica e La Stampa, le testate locali rimaste dalla già grossa sforbiciata all’ex impero Finegil di De Benedetti – erano in sciopero. Il secondo in meno di un anno: un ritmo che, sommato al tono allarmato dei comunicati dei lavoratori, ricorda la parabola che a l’Unità partì con la direzione De Gregorio e che portò alla chiusura del quotidiano fondato da Antonio Gramsci.
JOHN ELKANN COME EDITORE ha dimostrato capacità perfino peggiori di suo cugino Andrea Agnelli come presidente della Juventus, lasciata sul baratro della bancarotta e degli scandali giudiziari. Dalla scelta di nominare direttore di Repubblica Maurizio Molinari, uno che è di sinistra quanto Carlo Calenda e filoIsraele quanto Netanyahu – alle scelte editoriali, di management e di scelta degli acquirenti, come conferma quella di Danilo Iervolino, mister Pegaso e università online, per l’Espresso, per la quale il marzo scorso era stato proclamato il primo sciopero.
IL GRANDE RISCHIO ORA è che a essere venduta sia proprio Repubblica. «Il perimetro non esiste più, di fatto – sottolinea il Coordinamento dei comitati di redazione del Gruppo Gedi, dopo aver incontrato l’amministratore delegato Maurizio Scanavino.
Ai Cdr l’ad ha detto: «Dipende dall’offerta e dagli interlocutori», confermando che sono in corso contatti con gruppi interessati all’acquisizione delle storiche testate del Nordest – il Mattino di Padova, La Nuova di Venezia, la Tribuna di Treviso, il Corriere delle Alpi, Il Messaggero Veneto e Il Piccolo – a cui si aggiungerebbe la Gazzetta di Mantova.
La redazione consiglia:
Welfare e reddito: l’universalismo diventa sciovinismo«Ma il principio può essere esteso anche a La Stampa, la Repubblica, Il Secolo XIX, la Provincia Pavese, la Sentinella del Canavese, Huffington Post, le radio: non c’è più il «perimetro di riferimento aziendale» che lo stesso ad aveva delineato solo a dicembre. «Quello che è stato il più grande gruppo editoriale italiano e che dalla sera alla mattina ha già venduto in tre anni testate storiche come la Nuova Sardegna e Il Tirreno, le Gazzette, La Nuova Ferrara, L’Espresso e chiuso Micromega, si apre nuovamente al mercato».
«La logica del vantaggio economico – affermano ancora i Cdr – si è rapidamente sostituita a quella dell’interesse per i territori e l’informazione, per la quale tutte le giornaliste e i giornalisti hanno lavorato in questi anni. In un libero mercato la proprietà ha certamente facoltà di vendere – pur assumendosi la responsabilità di disperdere l’eredità di un gruppo editoriale che ha fatto la storia dell’informazione in Italia – ma avendo ben chiaro che l’informazione libera e il pluralismo sono un bene sensibile essenziale alla democrazia. Serve massima trasparenza su chi ne avrà la futura proprietà e garanzie sul rispetto dei diritti di lavoro dei dipendenti», conclude il comunicato.
LA SOLIDARIETÀ DI TUTTE le forze politiche e del sottosegretario all’Editoria Alberto Barachini, pronto a incontrare i giornalisti, non cambia la sostanza: gli Agnelli stanno rovinando la storia del giornalismo italiano.
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