Da otto mesi un folto dispiegamento di mezzi delle forze di polizia e dell’esercito ha accompagnato la quotidianità del Bardo, quartiere residenziale a ovest della capitale Tunisi.

Erano lì per un motivo ben preciso: sorvegliare il parlamento e l’adiacente museo archeologico nazionale, che ospita diversi mosaici romani.

Congelato dal 25 luglio dell’anno scorso, quando sulla scia di una lunga crisi economica e politica il presidente della Repubblica Kais Saied ha anche imposto le dimissioni al governo di Hichem Mechichi, da mercoledì 30 marzo l’Assemblea dei rappresentanti del popolo (Arp) è ufficialmente sciolta.

Una decisione che porta il responsabile di Cartagine ad avere il pieno controllo delle istituzioni tunisine. Allo stesso tempo Saied ha messo la parola fine al fragile percorso di transizione democratica iniziato dopo la Rivoluzione della libertà e della dignità del 2011 con la cacciata del despota Zine El-Abidine Ben Ali.

LO SCIOGLIMENTO dell’assemblea arriva a sorpresa ma non stupisce. Sempre mercoledì 121 deputati si sono trovati online per una sessione parlamentare a tutti gli effetti, la prima dopo il 25 luglio.

Ordine del giorno: l’annullamento delle misure imposte dal presidente. In 116 hanno votato a favore dopo diverse ore in cui è stato impossibile accedere alle piattaforme scelte per la plenaria e portando a diverse polemiche sul mancato accesso a internet da parte del governo.

Il presidente Saied non ha aspettato a reagire. Alle porte del Ramadan (l’inizio è previsto per domani 2 aprile) è stato emesso il decreto n° 309 sullo scioglimento dell’Assemblea dei rappresentanti del popolo.

Nel suo discorso Saied ha affermato di aver applicato l’art. 72 della costituzione. Che però non prevede la dissoluzione del parlamento: «Il presidente della Repubblica è il capo dello Stato e il simbolo della sua unità. Garantisce la sua indipendenza, la sua continuità e vigila sul rispetto della costituzione».

Rimanendo nell’ambito delle dubbie letture giuridiche, lo stesso testo costituzionale non è più in vigore dal 22 settembre 2021 quando Saied ha emesso il decreto presidenziale n° 117 con cui si è affidato i pieni poteri.

Oggi il futuro istituzionale della Tunisia resta nelle mani del responsabile di Cartagine; la sua agenda vede un referendum costituzionale il 25 luglio prossimo e il 17 dicembre 2022 le elezioni presidenziali e (forse) legislative. Si è nel campo delle ipotesi: la costituzione (non più in vigore) prevede che si dovrebbero tenere elezioni entro 90 giorni dallo scioglimento dell’Arp.

LA LUNGA GIORNATA del 30 marzo è la sintesi perfetta dello scontro in atto a Tunisi tra Saied da una parte e il leader del partito islamico Ennahda, Rached Ghannouchi, dall’altra.

Lo stesso Ghannouchi è anche presidente dell’Assemblea dei rappresentanti del popolo, mentre la sua formazione politica, in rotta di collisione con il presidente da ben prima del 25 luglio 2021, è la prima vittima del colpo di forza imposto la scorsa estate.

All’epoca sia l’Arp che Ennahda erano visti (e lo sono tuttora) come i primi responsabili del degrado politico ed economico del paese.

L’annuncio di Saied giunge pochi giorni dopo la visita in Tunisia di Olivér Várhelyi. Il commissario europeo per l’allargamento e la politica di vicinato ha dichiarato il 29 marzo di «essere pronto a mobilitare circa 4 miliardi di euro in investimenti e per rilanciare la crescita economica e i posti di lavoro nel paese».

La risposta di Saied aveva rincuorato l’Europa: «La Tunisia è legata ai valori della democrazia, della libertà e dei diritti dell’uomo».