«Cara Meloni, stiamo arrivando». Elly Schlein sprizza soddisfazione alla conferenza stampa del giorno dopo. Ammette che il 24% non lo aveva previsto neppure lei. Il messaggio alla premier sulle distanze che si sono accorciate «in modo significativo» rispetto alle politiche del 2022 non riguarda solo le percentuali, da 7 a 4,8 punti. La leader Pd guarda i voti assoluti e segnala che, mentre due anni fa i partiti erano separati da 2 milioni di voti, oggi quel distacco si è ridotto a un milione. Nei numeri assoluti, il Pd guadagna circa 300mila voti rispetto alle politiche (da 5,3 milioni a 5,6), mentre Fdi ne perde circa 600mila (da 7,3 a 6,7). «Nel 2022 c’era chi dava il Pd per morto, ora è più vivo che mai», rivendica. «Abbiamo recuperato credibilità, ora il nostro compito, come diceva Tina Anselmi, è organizzare la speranza».

SCHLEIN VUOLE EVITARE le polemiche interne e con i potenziali alleati, e attribuisce il successo del Pd allo «spirito unitario» che lei ha sempre cercato di preservare, anche quando dal M5S arrivavano fendenti, come sulle inchieste di Bari. Però risponde a chi le chiede di quanti, dopo la sua vittoria alle primarie, prevedevano sfracelli per il Pd e una deriva massimalista e perdente (non solo Renzi che immaginava «praterie» per i centristi, ma anche molti commentatori). «In questo anno abbiamo lavorato tanto per tenere insieme il partito ma senza rinunciare alla svolta promessa: quella di dare al Pd un’identità chiara e riconoscibile. Questo lavoro di ricostruzione deve continuare, e sono felice di aver smentito delle ricostruzioni caricaturali».

L’OBIETTIVO DELLA SEGRETARIA è ridurre ancora il distacco da Fdi, e puntare al sorpasso alle politiche del 2027. Un traguardo che fino a pochi mesi fa poteva apparire velleitario, mentre oggi non lo è. Di qui la volontà di continuare a battere «come un martello» sulla questione sociale e salariale, sulla sanità pubblica da difendere, tutti temi che «il governo ignora». La segretaria ripete il mantra di un sorpasso delle opposizioni sulle forze del centrodestra: in realtà si tratta di un paio di punti percentuali (conteggiando anche i voti di Michele Santoro), c’è un sostanziale equilibrio tra i due poli.

La sfida però è aperta, soprattutto al sud, dove a sorpresa i dem sono il primo partito con il 24%, mentre Fdi resta sotto al 23%. Una novità che Schlein attribuisce alla lotta contro l’autonomia differenziata e all’attenzione per le fasce più deboli e lancia un altro messaggio a Meloni: «Il sud vi dice di fermarvi, di non spaccare il Paese».

NEI CONFRONTI DELLE ALTRE opposizioni usa il guanto di velluto: complimenti a sinistra e verdi per l’exploit, nessuna frecciata a Conte, a parte la constatazione che «quando sono stata eletta i rapporti di forza erano diversi», ora il Pd è il «perno indiscusso» della possibile alternativa. Insomma, se ci sono state polemiche prima del voto europeo in cui tutti erano in competizione, ora quella pagina è chiusa, i nuovi rapporti di forza sono chiari (il M5S è 14 punti sotto) e bisogna lavorare per costruire la coalizione «sui temi concreti», dalla sanità al lavoro, senza «formule costruite a tavolino.

«Non intendiamo subire veti», manda a dire a Calenda e Renzi, «gli elettori non premiano mai le divisioni, polemizzare col Pd non porta buoni risultati e dunque è meglio non perseverare», li bacchetta. E a Meloni manda un altro pizzino: «Sì, dopo il voto ci siamo sentite per i complimenti reciproci. Sono disponibile a collaborare per l’interesse del paese, ma se resta l’elezione diretta del premier da noi ci sarà un muro: non si cambia la forma di governo a colpi di maggioranza».

SUI TEMI EUROPEI non nasconde la preoccupazione per l’avanzata delle destre estreme, ma rivendica il ruolo chiave dei socialisti nella prossima maggioranza continentale, e il ruolo del Pd come primo partito dei socialisti e democratici. «Il nome del prossimo presidente della commissione spetta al primo partito che è il Ppe», ricorda, ma rispetto all’ipotesi di Ursula bis dice che «vogliamo far pesare i voti dei socialisti in un negoziato serrato sul programma», che deve «restare ancorato agli investimenti comuni per finanziare il green deal e le politiche sociali» e non certo per «una economia di guerra».

LA SEGRETARIA RICEVE i complimenti di tutti i big interni, da Franceschini («Per la seconda volta in pochi ci credevano… grande Elly») a Andrea Orlando («Un grande risultato») e Stefano Bonaccini, entusiasta per le sue 390mila preferenze nel nordest e il dato del Pd in Emilia Romagna al 36%, 8 punti in più delle politiche: «Abbiamo fatto una bellissima campagna elettorale, merito prima di tutto di Elly che l’ha voluta così: nelle piazze, nei mercati».

La sfida delle preferenze tra i dem l’ha vinta Antonio Decaro, che sfiora i 500mila voti personali al sud; segue Bonaccini e poi la capolista del nordovest Cecilia Strada (280mila), Lucia Annunziata (240mila per la capolista del Sud), Schlein (230mila tra Centro e Isole), l’ex sindaco di Bergamo Giorgio Gori (210mila). Al centro derby all’ultimo voto tra Nicola Zingaretti e Dario Nardella, passano anche Matteo Ricci e Camilla Laureti. In forse fino all’ultimo (per un problema informatico nei conteggi a Roma) Marco Tarquinio, che non sfonda: resta sotto le 40mila preferenze ma dovrebbe farcela. Tornano all’europarlamento Brando Benifei, Pina Picerno, Alessandra Moretti, Elisabetta Gualmini, Irene Tinagli e Camilla Laureti. Tra le new entry Sandro Ruotolo e Alessandro Zan, che al Nord ottiene 170mila voti.