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Schlein punta sulla lezione di Berlinguer

Schlein punta sulla lezione di BerlinguerElly Schlein

Elezioni europee Ultimo comizio a Padova a 40 anni dalla morte del leader Pci: «La sua eredità ancora attuale, è patrimonio della sinistra». Per la leader dem una campagna di sinistra per recuperare i delusi: critica alle scelte passate su lavoro e immigrazione, antifascismo, difesa della sanità e della Costituzione. Obiettivo minimo il 20%

Pubblicato 4 mesi faEdizione del 8 giugno 2024

L’ultimo comizio di Elly Schlein di questa campagna, dopo 123 tappe, è stato ieri sera a Padova, piazza della Frutta, dove il 7 giugno di 40 anni fa Enrico Berlinguer fu colpito dal malore che lo portò alla morte. Un comizio in gran parte dedicato all’«eredità attuale ed esigente» del leader comunista, la sua vicinanza ai più deboli, la sua «autorevolezza e umanità».

Schlein, tra gli applausi, prova a fare sua la lezione di Berlinguer, e non a caso ha scelto il suo volto per la tessera Pd del 2024. Per tentare, dopo tanti anni di errori, dal lavoro alla precarietà all’immigrazione (che lei ammette, e qui gli applausi sono i più sentiti) di dare al Pd un carattere «popolare», «autentico» e per sottolineare come le intuizioni del leader morto nel 1984, dall’ambiente alla pace, siano ancora patrimonio del principale partito del centrosinistra (scelta contestata da Maurizio Acerbo della lista pacifista di Santoro, che parla di «strumentalizzazione elettorale»).

Compresa la difesa della Costituzione nata dalla Resistenza, e qui si innesta la lotta contro premierato e autonomia, per arrivare alla difesa della scuola e della sanità pubbliche dai tentativi di privatizzazione del le destre. L’Europa in guerra resta sullo sfondo, Schlein si limita a definirla «un’idea di pace» a dire no all’«economia di guerra», a chiedere il cessate il fuoco a Gaza e una soluzione diplomatica in Ucraina. Sa che su questi temi le differenze con la destra italiana non sono vistose, non polarizzano, e dunque chiede un’Europa «più sociale», più verde, più attenta a ridurre le diseguaglianze: una Ue «da cambiare» nel segno deò welfare, del salario minimo, del nuovo debito comune modello Pnrr per finanziare la transizione green.

L’obiettivo è chiaro: con una campagna elettorale spostata a sinistra, almeno nelle parole, la segretaria punta a riportare alle urne tanti delusi, cita Berlinguer evocando «una società socialista che rispetta ogni libertà tranne quella di sfruttare», si pone in modo collaborativo con i potenziali alleati, M5S in testa, a cui ripete che «siamo testardamente unitari».

Nel 1984 ci fu il clamoroso sorpasso del Pci sulla Dc dovuto alla commozione per la morte del leader comunista. Questa volta a Schlein basta ridurre le distanze da Meloni, che nel 2022 erano 26% contro 19%, sette punti. Per la segretaria ogni risultato sopra il 20% è un’assicurazione sulla vita della sua leadership almeno fino alle politiche del 2027; sopra quel dato, tra il 21 e il 22%, sarebbe un successo, anche perché lei ripete sempre che quando prese la guida nel 2023 il Pd nei sondaggi stava al 15% ed era sull’orlo della dissoluzione.

Dopo una gestazione delle liste piuttosto complicata, alla fine la maionese cucinata da Schlein non ha generato particolari intolleranze nel corpaccione del Pd: persino le sacrosante intemerate contro la Nato («Dagli anni 90 dico che andrebbe superata») del cattolico pacifista Marco Tarquinio sono state digerite dai cosiddetti riformisti, impegnati in gran parte nel raccogliere voti di preferenza, compresi i più atlantisti come Pina Picierno e Giorgio Gori. Quasi zero le polemiche, ma con Tarquinio e Cecilia Strada in lista, Schlein è riuscita a intercettare un elettorato più movimentista e di sinistra che sarebbe potuto andare al M5S o a sinistra-verdi. «Nel Pd non siamo mai stati uniti come adesso», le ha riconoscito Stefano Bonaccini, capolista nel nordest e suo sfidante al congresso. «Dopo tanti anni, forse troppi, siamo tornati nelle piazze, nei mercati, nei parchi pubblici, nelle strade».

Era questo l’obiettivo di Schlein, ricucire coi mondi che avevano rotto col Pd targato Renzi senza strappare con i cosiddetti riformisti. Una missione che, a urne ancora da aprire, si può dire già realizzata. Per l’unità è stato pagato un prezzo sul tema della pace, in particolare sul dossier Ucraina, dove pochissimo è cambiato rispetto ai tempi di Letta. Ma lei, gridando nei comizi che «la pace è nel nostro dna», ha tentato di ridurre il danno. Certo, se il dato delle europee fosse uguale o inferiore a quello del 2022 per la giovane segretaria scatterebbe il processo interno. Ma l’aria che si respirava nelle piazze, anche ieri a Padova, non era quella di un clamoroso flop.

Per la leader dem conta molto anche la distanza che avrà dal M5S. Due anni fa erano circa 4 punti percentuali, aumentare quel distacco significherebbe imporre la sua come leadership del campo progressista. Così come contano i risultati nei 27 capoluoghi che devono rinnovare i sindaci, nel complicato puzzle di alleanze che vede il Pd separato dai 5S nelle due sfide principali, Firenze e Bari.

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