A fronte della catastrofe emiliano-romagnola, a cui potrebbero seguirne altre, anche in ragione della posizione geografica della nostra penisola, protesa verso un’Africa surriscaldata dal cambiamento del clima, risulta sorprendente l’ordine di priorità che, nei fatti, i governi hanno dato alla “lotta” al cambiamento climatico. Priorità al contrario: continuità del sistema energetico fossile, del consumo di suolo, del proliferare di inutili infrastrutture. L’uso delle risorse è squilibrato e segnato anche da un disinteresse alla pace, dopo che l’Ue ha messo in campo addirittura una sorta di Pnrr delle armi, che acuisce gli effetti perversi della crisi climatica attuale.

Sarebbe del tutto ragionevole che, dal momento che si sta ridiscutendo della destinazione del Pnrr, si attui una riconversione verso obiettivi ambientali come il governo delle acque, ormai indifferibile, affinché agricoltura e forniture idriche per uso civile e industriale abbiano certezza di fornitura.

Gli investimenti sulle rinnovabili sono sostanzialmente fermi, se si considera che solo la misura del 110% ha per ora incrementato il fotovoltaico. Non c’è ancora lo sblocco dell’eolico off-shore, malgrado importanti progetti di investimento, ormai finanziati, come a Civitavecchia e nelle Isole. Si perde tempo prezioso, non si avviano investimenti innovativi nella produzione manifatturiera di energie rinnovabili. Nessuna nuova proposta per l’ex-Ilva e solo un progetto Enel in Sicilia per pannelli eolici, pronto a migrare dove verrà attratto da maggiori incentivi.

Fotovoltaico e eolico dovrebbero essere gli investimenti più innovativi. Invece l’attenzione e i quattrini vanno agli investimenti fossili, in un clima di emergenza che segnerà forse decenni. In particolare, nel gas su impulso dell’Eni, che ha convinto il governo a farsi dare nuovi fondi del Pnrr per l’assurdo progetto di nascondere la CO2 prodotta nel sottosuolo, proprio laddove la tragedia dell’alluvione ha colpito oltre ogni immaginazione.

La strategia di Eni spinge il nostro Paese a violare gli impegni climatici assunti, in sede Ue. La ‘partecipata’ dello stato continua nell’espansione di petrolio e gas e, di fatto, riserva alle rinnovabili un ruolo secondario. Un recente studio pubblicato da Reclaim Finance, ReCommon e Greenpeace, ha calcolato che meno del 20% degli investimenti previsti da Eni nei prossimi anni andranno a finanziare progetti di energie rinnovabili, superando del 70% l’impegno a ridurre le emissioni previste dalla Iea.

A nessuno può sfuggire che il sistema di rinnovabili e comunità energetiche può creare posti di lavoro di qualità, nonché produzioni innovative a cui la manifattura italiana è in grado di riconvertirsi, in particolare al Sud.

Anche nel settore automotive, il governo ha svolto un ruolo di retroguardia. Anziché concordare con altri partner europei progetti innovativi, il governo si è trovato isolato su posizioni conservatrici di mantenimento dei motori endotermici.

I progetti per costruire comunità energetiche prevedono fondi a sostegno, ma gli strumenti non sono ancora funzionanti: si continua nella nebbia di provvedimenti incerti o difficilmente applicabili.

Il rinvio e il ritardo sembrano essere la regola per scelte decisive e improrogabili. Risorse senza limiti e con assoluta rapidità sembrano appannaggio solo delle fonti fossili, come nel caso dei rigassificatori e delle navi metaniere, una stabilizzazione avversa alla decarbonizzazione.

Con un gioco perverso di manipolazione, perfino il nucleare esistente, viene spacciato per nuovo, malgrado sia costoso e insicuro, come ci ricorda la decisione presa in questo mese dal governo giapponese – a 12 anni di distanza dall’incidente – di sversare in mare i serbatoti radioattivi di Fukushima, ormai al colmo di acqua irrimediabilmente contaminata. Il nucleare è come il ponte sullo stretto: la destra al governo non resiste a riproporlo, incurante delle conseguenze economiche e sociali, dei rischi, dei costi spropositi per la sicurezza e la qualità della vita

Purtroppo, la crisi climatica e la transizione energetica per liberarci dalle fonti fossili non sono oggi il centro del lavoro del governo italiano. Purtroppo la crisi climatica è collocata solo sull’onda dell’emozione dei disastri in corso e non sta al centro dell’impegno del nostro governo.

Occorre che tutte le sensibilità ambientaliste e per la giustizia sociale si uniscano in una iniziativa comune, pronti a ricorrere, se provocate, anche ad un terzo referendum popolare contro il nucleare. Le realtà ambientaliste stanno organizzando, per la prima decade di giugno, manifestazioni, presidi e occupazioni in tutti i territori e di fronte ai Ministeri responsabili. Con lo slogan “Scatena le rinnovabili”, perché pale eoliche e pannelli solari possono spezzare le catene dello sviluppo fondato sul fossile.

***Mario Agostinelli, Alfiero Grandi, Jacopo Ricci, Massimo Serafini, Massimo Scalia (Osservatorio sulla transizione ecologica)