Grandi invasi, in Italia sono tanti ma datati e sotto sfruttati
Diga del Vajont
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Grandi invasi, in Italia sono tanti ma datati e sotto sfruttati

Ambiente Le grandi dighe iscritte nel Registro italiano sono 526, l'età media è di 65 anni: «Circa il 33% della capacità di questi impianti non risulta sfruttato»
Pubblicato circa un mese faEdizione del 30 agosto 2024

Se venisse costruita, la diga sul Vanoi andrebbe ad accrescere il numero dei grandi invasi, quelli vigilati direttamente dal ministero delle Infrastrutture: sono 526 quelle iscritte al Registro italiano delle Grandi dighe, alla data del 31 dicembre del 2023. Hanno un’età media di 65 anni e in alcuni casi problemi strutturali che hanno portato, ad esempio, a promuovere un Piano nazionale di interventi infrastrutturali e per la sicurezza del settore idrico, che a metà luglio ha reso pubblico un elenco di interventi finanziabili, per un valore complessivo di oltre 12 miliardi di euro.

Ogni diga ha una finalità principale, che può essere la produzione di energia idroelettrica, l’uso irriguo o la «raccolta» d’acqua destinata a fini idropotabili. Il primo è quello preponderante, in particolare nell’arco alpino. E se nei primi sei mesi del 2024 la produzione da fonti rinnovabili (in crescita del 27,3% rispetto al primo semestre 2023) ha superato per la prima volta nel nostro Paese la produzione da fonti fossili, che ha registrato una flessione del 19% rispetto allo stesso periodo del 2023, lo deve principalmente al grande incremento della produzione idroelettrica rinnovabile, che da gennaio a giugno 2024 ha raggiunto un risultato record, pari a 25,92 Terawattora, più 64,8% rispetto allo stesso periodo nel 2023: ciò si lega a una notevole disponibilità idrica nelle regioni del Nord, dove ha nevicato tanto a fine inverno.

Se è possibile leggere benefici legati alla costruzione di una diga, ad esempio nella riduzione del fabbisogno di energia prodotta da fonti fossili, va detto che negli ultimi anni la capacità installata è aumentata di appena 0,59 gigawatt, nonostante il numero degli impianti continui a crescere in modo esponenziale: nel 2009, gli sbarramenti idroelettrici erano 2.249, mentre a oggi risultano oltre 4.800 impianti per la produzione di energia idroelettrica (i dati Terna sono riferiti a febbraio 2024). Tali impianti sono concentrati principalmente lungo l’arco alpino, dove ritroviamo la maggior quantità di bacini idrici: ce ne sono infatti 1.092 in Piemonte, 891 in Trentino-Alto Adige, 749 in Lombardia e 408 in Veneto.

L’acqua, però, viene invasata anche per garantire il fabbisogno idrico dell’agricoltura di pianura. È questo anche il caso del progetto sul Vanoi. La «capacità d’invaso» (quella della diga in progetto sarebbe di 30 milioni di metri cubi) è al centro delle attività di ricognizione del Commissario Straordinario nazionale per l’adozione di interventi urgenti connessi al fenomeno della scarsità idrica. A marzo in audizione in Parlamento ha presentato alcuni dati di monitoraggio, raccolti dalle sette Autorità di bacino distrettuali: su un totale di 4.681 grandi invasi considerati strategici, il volume autorizzato risulta pari a 8.406 milioni di metri cubi a fronte di una capacità di 10.352 metri cubici, che rappresenta invece il volume di progetto.

«Il volume autorizzato è quindi pari a circa l’80% del volume di progetto, indicando la presenza di importanti margini di recupero di capacità di invaso», una possibile alternativa alla realizzazione di nuovi impianti. La stessa relazione evidenzia «anche la mancanza di reti di adduzione che rendano realmente fruibile la risorsa accumulata negli invasi per gli usi civili, irrigui e industriali. Spesso mancano collegamenti, relativamente modesti, o solo il completamento di impianti di potabilizzazione, per cui l’acqua viene invasata ma non è disponibile per il successivo utilizzo».

Si lamenta anche l’esigenza di un sistema di pianificazione (distretti), di gestione (società regionali), di regolazione e di controllo alla stregua di quello del servizio idrico integrato anche per l’acqua grezza ossia di «prevedere l’estensione della governance regolatoria anche per l’approvvigionamento idrico primario». Una società che per conto della struttura commissariale ha svolto una ricognizione degli impianti lamenta la scarsa manutenzione degli invasi stessi, che porta a un problema significativo: «Circa il 33% della capacità delle grandi dighe non risulta sfruttato». La soluzione migliore, probabilmente, non è quella di costruire invasi ex-novo.

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