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Una transizione green di retroguardia, confusa e rinunciataria

Mario Draghi a La Hulpe foto EpaMario Draghi – Epa

Il report di Draghi all'Europa La competitività dell’Europa nel mondo globale comporta investimenti aggiuntivi intorno a 800 miliardi di euro all’anno, il 5% circa del suo Pil, ma questo non basta. Il rapporto Draghi evidenzia […]

Pubblicato 19 giorni faEdizione del 19 settembre 2024

La competitività dell’Europa nel mondo globale comporta investimenti aggiuntivi intorno a 800 miliardi di euro all’anno, il 5% circa del suo Pil, ma questo non basta. Il rapporto Draghi evidenzia sia una difficoltà di gestire questi investimenti in un regime di controllo esasperato della finanza pubblica degli Stati senza alcun potere di intervento diretto, sia quella di individuare una strategia coerente ed integrata sulle varie tematiche.

Due sono le considerazioni, ovvie, iniziali: la competitività si gioca sull’innovazione, in particolare sugli strumenti da applicare per colmare il gap con Usa e Cina, soprattutto nelle tecnologie avanzate, e lo stretto rapporto esistente tra competitività e decarbonizzazione, e come far diventare quest’ultima un’opportunità.

Questo in condizioni difficili, in presenza di un divario del prezzo dell’energia dovuto alla mancanza di risorse naturali in Europa e di una insicurezza causata dalla dipendenza per le materie prime critiche e per le importazioni di tecnologia digitale. Ma, nonostante la robustezza delle analisi di riferimento, le soluzioni prospettate nel report risentono di una visione di retroguardia e rinunciataria, in particolare per l’aspetto, fondamentale, della transizione energetica. Non a caso, i necessari 450 miliardi di euro all’anno per la transizione energetica, valore già ampiamente noto, non vengono suddivisi nei diversi capitoli di investimenti.

Eh si, perché se da un lato viene espressamente detto che la decarbonizzazione deve essere accelerata puntando sulle semplificazioni delle autorizzazioni amministrative per le energie pulite, dall’altro ci si riferisce ad un ventaglio di soluzioni che include tutto, rinnovabili, nucleare, idrogeno (che però è «clean» e non «verde»), cattura e sequestro della CO2, accumulo.

Il capitolo degli obiettivi e delle proposte, insiste sul mantra della neutralità tecnologica, intesa come uso di tutte le tecnologie disponibili, in un mercato però che da un lato risulta controllato dall’oil&gas, vedasi il mercato dell’energia, e che dall’altro incredibilmente non tiene in debita considerazione il costo del chilowattora delle diverse tecnologie, unendo sulla stessa riga le rinnovabili (40-80 €/MWh) ed il nucleare (110 €/MWh).

Per parlare delle proposte, ci si riferisce essenzialmente al gas naturale ed al vettore elettrico, confermando un parallelismo da confutare in una visione strategica del futuro. Vero è che il gas è un elemento importante della transizione, ma non può avere tutta quell’enfasi visto che esso progressivamente andrà a diminuire e così i suoi investimenti infrastrutturali. Invece troviamo nel report: diversificazione delle forniture di gas (ma non dovevamo eliminare le dipendenze?), sviluppo di infrastrutture strategiche con un coordinamento tra Stati, uso massivo del gas liquefatto, valorizzazione delle produzioni nazionali, e così via.

Nessun approfondimento dell’opportunità industriale delle rinnovabili. In Italia, l’Arera ha rimarcato recentemente che per far diminuire il prezzo dell’energia bisogna aumentare il contributo delle fonti rinnovabili e dei sistemi di accumulo, «solo così sarà possibile progressivamente contenere il peso del gas nel mercato che aggiorna costantemente i costi dell’energia», e questo nell’immediato. Nel report le proposte chiave nel settore dell’energia elettrica riguardano l’approvvigionamento di fonti di produzione più economiche, non solo rinnovabili ma anche nucleare e idroelettrica.

È evidente l’insistenza sul nucleare, addirittura considerandolo fattore di decoupling del prezzo del gas naturale attraverso contratti a lungo termine per limitare l’impatto delle variazioni dei prezzi delle materie prime dei combustibili fossili. Inoltre, fatto questo abbastanza discutibile, il nucleare viene considerato un fattore di flessibilità della rete, eliminando del tutto la possibilità che fornisce il power-to-gas, e questo sul medio e lungo termine.

Non da ultimo, la promozione della cattura del carbonio (Ccus) quale uno degli strumenti per accelerare la transizione verde, quando sappiamo bene della sua marginalità. Un report asimmetrico, come è asimmetrica questo tipo di decarbonizzazione, che da un’analisi geopolitica ed economica complessa mostra il suo vero volto, che è la vera difficoltà di questo cambiamento, quella della incapacità di assumersi una responsabilità chiara, attenta al clima, ineludibile, mentre invece si preferisce fare proposte confuse, impalpabili di un ordine costituito difficile da combattere.

* Prorettore per la Sostenibilità, Sapienza Università di Roma

 

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