Dalla sua casetta spoglia di fronte ai Caraibi messicani Maria Aguilar, venditrice di cocchi, ha visto i profondi cambiamenti avvenuti negli ultimi anni nella cittadina di Mahahual. L’orizzonte le ha riservato parecchie sorprese, come la costruzione del porto in cui ogni giorno approdano una decina di navi da crociera, riversando gruppi di turisti a bordo di monopattini elettrici sulla strada sterrata che costeggia il mare. Ma non è niente a confronto con il mutato paesaggio causato dall’arrivo massivo del sargasso, l’alga che dal 2011 ha invaso la costa messicana fino a cambiarne profondamente l’aspetto.

«È ARRIVATA E DA ALLORA NE ABBIAMO AVUTA sempre di più» racconta mentre affonda il machete nel frutto per estrarne il  succo, con lo sguardo che sbircia il mare trasformato in un prato galleggiante. In circa un decennio una quantità mai conosciuta prima di macroalghe fluttuanti del tipo Sargassum natans e Sargassum fluitans si è estesa in un’ampia zona che comprende anche le coste brasiliane, della Florida e dell’Africa occidentale. Le cause della crescita eccezionale del vegetale marino sono ancora al vaglio dei ricercatori che sono però unanimi nel riconoscere l’importanza nel favorirla dell’innalzamento della temperatura superficiale del mare osservata nell’Atlantico tropicale.

«QUESTE CONDIZIONI FAVOREVOLI SONO STATE poi alimentate da ulteriori apporti di nutrienti continentali, provenienti principalmente dal Rio delle Amazzoni», come «conseguenza della deforestazione e delle attività agroindustriali nella foresta amazzonica», puntualizza il report On the potential causes of the recent Pelagic Sargassum blooms events in the tropical North Atlantic Ocean pubblicato nel 2017 su Biogeosciences. Le fonti più ufficiose citano anche un’altra possibile causa scatenante: quella correlata all’incidente che nel 2010 causò l’esplosione della piattaforma BP Deepwater Horizon, causando la fuoriuscita di circa 500 milioni di litri di petrolio nel golfo del Messico, in uno dei disastri ambientali più gravi della storia contemporanea. Il proliferare delle alghe potrebbe essere scaturito, secondo alcuni ricercatori, dalla presenza di idrocarburi e dai batteri in grado di degradare alcune componenti del petrolio che qui sono stati impiegati per limitare i danni dello sversamento. Le correnti che avrebbero favorito il movimento dei «nutrienti» verso la costa messicana sono le stesse che la rendono particolarmente soggetta al fenomeno del sargasso, spingendo la massa di alghe dall’Atlantico orientale verso l’Africa e la foce del fiume Congo, passando per il litorale brasiliano e entrando all’altezza di Cozumel.

IL SISTEMA DI ALLERTA PRECOCE SATELLITARE Sargassum (SATsum) messo a punto dalla Comisión Nacional para el Conocimiento y Uso de la Biodiversidad (CONABIO) del Governo messicano e ora integrato con il sistema di monitoraggio Sentinel 3, ha permesso di identificare 4 milioni di tonnellate di massa algale che giornalmente si accumulano lungo gli 800 km di spiagge della regione del Quintana Roo. Avvistato per la prima volta da Colombo nell’omonimo mare al largo della costa orientale degli Stati Uniti, il sargasso, con grappoli di foglie rigide e piccoli frutti rotondi, si raccoglie in gigantesche isole galleggianti, habitat di un ricco ecosistema che fornisce nutrimento ai pesci e rifugio alle tartarughe appena nate. Il problema quindi non è la pianta in sé, ma le quantità anomale che sta raggiungendo, grazie alla sua capacità di riprodursi velocemente e ricoprire 20 metri quadrati di superficie in soli 15 giorni.

LE CONSEGUENZE SONO ENORMI. Le analisi delle acque in cui permane il sargasso hanno rivelato la presenza di arsenico e metalli pesanti rilasciati dalla pianta. Per il momento le concentrazioni non si sono mostrate pericolose per il corpo umano, ma il dato è di particolare rilevanza in una zona come quella della cosiddetta Riviera Maya, una delle più battute dal turismo di massa. L’impatto sui 5 milioni di visitatori che vi approdano ogni anno di trovare un mare nero e spiagge ricoperte di alghe maleodoranti al posto del tipico paesaggio caraibico rischia di infondere un colpo profondo all’economia dell’intero Paese, in cui il turismo del Quintana Roo incide sul Pil in maniera determinante.

A POCO SERVONO I NUMEROSI OPERAI che raccolgono montagne di sargasso per nasconderlo alla vista dei lussuosi resort. Il problema è anche quello di smaltire una tale massa vegetale che, in fase di decomposizione, oltre a emanare un odore pungente, rilascia liquami tossici e sostanze nocive come l’idrogeno solforato e gas a effetto serra quali il metano: una presenza ingombrante che coinvolge l’intero ecosistema marino, dalle scogliere alle zone umide, come i boschi di mangrovie, con un impatto diretto su pesca e fauna.

IL SARAGASSO, CHE SPESSO DOPO ESSERE STATO RACCOLTO viene abbandonato sulla spiaggia e ricoperto di sabbia, diviene un pericoloso ostacolo alla deposizione delle uova delle tartarughe marine, come ha spiegato Hector Antonio Lizárraga Cubedo, oceanologo e Direttore esecutivo del centro ecologico di Akumal. Per cercare di produrre un’agenda standardizzata di azioni coerenti nel trattamento del sargasso, il Governo ha creato, sotto la supervisione del Consejo Nacional de Humanidades, Ciencias y Tecnologías (Conahcyt), un gruppo di lavoro formato da esperti di diverse discipline che si confrontano a cadenza regolare. Numerose sono le ricerche sullo sfruttamento del sargasso in termini monetari, dall’utilizzo per la produzione di biodiesel all’impiego nell’industria alimentare e cosmetica, ma per il momento la presenza dei metalli pesanti e l’incapacità di verificare la disponibilità nel tempo dell’alga non hanno ancora prospettato una valida soluzione.

L’IMPORTANZA DI STILARE UN PROTOCOLLO comune che agisca sia sulla contingenza che sulle cause più profonde del problema è stato ribadito da più voci: «Molte specie di fauna compiono almeno una parte del loro ciclo vitale associata al sargasso, il quale sta assorbendo la grande eccedenza di nutrienti che altrimenti permarrebbero creando problemi ancora peggiori per le specie marine» ha fatto notare Jose Adan Caballero Vasquez, del Centro de Investigación Científica dello Yucatán. Secondo Sergio Cerdeira Estrada, vicedirettore del Sistema di Informazione e Análisi Marina di Conabio, «non è corretto parlare di invasione, ma è importante osservare il problema da un punto di vista della complessità del mondo naturale in cui viviamo», portando attenzione su come il fenomeno necessiti di essere affrontato a livello internazionale. Osservandolo come una sorta di risposta immunitaria che la natura mette in atto per difendersi, il fenomeno del sargasso diviene emblematico della necessità di volgere uno sguardo più complesso sui territori globali, che siano terrestri o marini, per ripensarli non solo in base alle emergenze, ma secondo una visione più lungimirante verso un modello non più vorace a livello di turismo, estrattivismo e fruizione.