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Sardegna, comunità terapeutiche messa a rischio dalla giunta Solinas

Sardegna, comunità terapeutiche messa a rischio dalla giunta Solinas

Finanziamenti insufficienti perché fermi al 2012 e richiesta di nuovi profili professionali

Pubblicato 11 mesi faEdizione del 19 novembre 2023

Le comunità terapeutiche per i tossicodipendenti in Sardegna rischiano la chiusura. L’importo della retta giornaliera elargita dall’assessorato alla sanità è fermo al 2012 e non copre neppure il costo del personale. Ora poi la giunta di centrodestra guidata dal sardo-leghista Christian Solinas chiede, con una delibera appena approvata, una ridefinizione dei profili professionali impegnati nell’attività di recupero dei tossicodipendenti che avrebbe l’effetto di mettere ulteriormente in sofferenza i bilanci delle comunità e a rischio non pochi posti di lavoro. In sostanza, la Regione chiede un adeguamento qualitativo degli organici, con l’assunzione di nuove figure professionali che integrino, con l’introduzione di nuove competenze, gli attuali standard di assistenza. Rispetto a questo indirizzo, le comunità hanno due problemi. Il primo è che, con i finanziamenti regionali fermi da più di dieci anni a fronte del crescere costante dei costi di gestione, mancano i soldi per assumere le nuove figure professionali, se non licenziando parte del personale, esattamente il 60% che non ha i requisiti richiesti dalla Regione.

CI SAREBBE un’alternativa, caldeggiata dalle comunità: istituire corsi di aggiornamento professionale, gestiti dall’assessorato alla sanità, indirizzati all’attuale personale, in modo da riqualificarlo. Ma la Regione a questa richiesta fa orecchie da mercante: non vuole spendere i denari necessari.

C’è poi il secondo problema, tutt’altro che secondario: le comunità fanno notare che le nuove professionalità richieste dalla Regione (tecnici della riabilitazione psichiatrica ed educatori sanitari) sono di profilo medico più che socio-pedagogico e che questo potrebbe portare a una medicalizzazione del lavoro di cura rispetto alla quale le perplessità, com’è facile comprendere, sono parecchie.

NEL 1993 È NATO un coordinamento della comunità, il Ceas. Mette insieme otto realtà, che operano con difficoltà sempre crescenti: Mondo X, Aquilone, La Crucca, Casa Emmaus, Madonna del Rosario, Arcobaleno, Dianova e Centro di accoglienza Don Vito Sguotti. Nel campo delle tossicodipendenze sono in Sardegna le uniche strutture a garantire i livelli essenziali di assistenza (Lea) che, per legge, il servizio sanitario regionale è tenuto a fornire a tutti i cittadini, gratuitamente o con un ticket. E’ soltanto alle otto comunità raggruppate nel Ceas che i tossicodipendenti possono rivolgersi. Nel pubblico le uniche strutture operative sono i Serd, che però svolgono tutta un’altra funzione: sono centri di prevenzione e di primo intervento. Le comunità sarde attualmente offrono assistenza a 350 persone, il 30% delle quali viene dalle carceri.

PORTAVOCE del Ceas è Giovanna Grillo, che denuncia una situazione ormai arrivata al limite del collasso. «Se le cose non cambiano, molte delle nostre comunità – dice Grillo – rischiano la chiusura, con la conseguenza che il servizio essenziale che noi forniamo non venga più garantito. Esiste da anni nei nostri confronti una disattenzione, da parte della politica, che è davvero sconcertante. I fondi che la Regione ci passa sono fermi ai livelli del 2012. Da allora nessun adeguamento. Mentre invece i nostri costi di gestione crescono costantemente. Le rette attuali non coprono neanche la spesa per gli stipendi al personale. Nella legge finanziaria del 2022 il consiglio regionale aveva stanziato fondi a nostro favore, ma ancora non abbiamo visto un centesimo. È stata invece approvata una delibera che ci chiede un adeguamento professionale degli organici che al momento non possiamo sostenere. Per molte comunità il rischio della chiusura è reale».

SALVATORE MORITTU, che nel 1980 ha fondato a Cagliari la prima comunità dell’isola e oggi coordina Mondo X, è molto duro. «Di fronte a una realtà drammatica, abbiamo una politica e una burocrazia che vanno per la loro strada, senza ascoltare coloro che lavorano con persone che chiedono aiuto. Scrivono leggi senza interpellare chi si occupa dei problemi quotidianamente e ci propongono una medicalizzazione del servizio che non avrebbe effetti positivi. Ci costringono a lavorare in condizioni diventate impossibili».

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