Da quando è stato eletto, Lula ha parlato più volte di volere una riconciliazione nazionale e ha promesso di governare per tutti i brasiliani. Le centinaia di manifestanti che si sono accampati fuori dalle caserme delle forze armate nelle ultime settimane, tuttavia, non erano convinti.

Ora, alla luce di quanto abbiamo visto a Brasilia l’8 gennaio, resta la domanda: è possibile una riconciliazione nazionale con una parte della popolazione che sostiene movimenti antidemocratici e che vive in un “Brasile parallelo”?

DOMENICA, sostenuti dalle omissioni delle forze di sicurezza, i manifestanti bolsonaristi hanno inscenato il più violento tentativo di colpo di stato dal 1964. Una versione tropicale aggravata di Capitol Hill che conferma quanto già si sapeva: che un settore della società non accetta né il processo elettorale né i risultati delle elezioni. Si tratta di un movimento organizzato, con estensioni su tutto il territorio brasiliano e che difficilmente accetterebbe una trattativa con Lula presidente.

Il movimento terroristico che ha depredato i palazzi dei “tre poteri” non è solo frutto di un sentimento decennale anti-sistema e contrario al Partito dei Lavoratori. Negli ultimi quattro anni abbiamo avuto un presidente che ha abusato della macchina pubblica per realizzare la sua campagna di disinformazione e che, nella sua posizione di leader politico, incitava quotidianamente all’odio e alla divisione.

Anche senza Bolsonaro, la sua base militante che include, oltre alla famiglia, alcuni politici, figure religiose, uomini d’affari e influencers, rimane attiva. Si parla addirittura di «milizie digitali» per definire le strutture dedicate alle attività di disinformazione perpetrata dai nuclei di potere bolsonarista.

Oggi è noto che questa attività è alimentata da un sistema di credenze ermetico, dogmatico e strutturato con riferimenti teorici di diverse fonti, che ha la sua origine e la sua forma nella cosiddetta “guerra culturale”. Lo storico João Cezar de Castro Rocha scrive: «Senza la guerra culturale, il bolsonarismo non può mantenere le masse digitali in mobilitazione permanente».

LE VISIONI DI MONDO in questo sistema si dispiegano in quasi tutti gli ambiti della vita sociale: la religiosità, in particolare quella delle chiese evangeliche pentecostali; l’esaltazione del militarismo; il messianismo che circonda la figura di Bolsonaro; un patriottismo che sequestra politicamente i simboli nazionali a suo uso e consumo.

Anche il complottismo, che mette in discussione tutti i sistemi del sapere, della scienza e delle istituzioni. È un universo semantico secondo il quale c’è sempre l’imminenza di una «minaccia comunista» nella figura di Lula, per quanto abbia dimostrato nelle sue precedenti gestioni di saper portare avanti una politica economica perfettamente neoliberista.

In questo universo, il Brasile può trasformarsi da un momento all’altro in un nuovo Venezuela, la dittatura militare è stata positiva e necessaria, la famiglia deve essere formata da un solo uomo e una sola donna, la sinistra vuole «corrompere i bambini», portare armi e pronunciare discorsi di odio sono espressioni di libertà. Seguono migliaia di altri dogma.

Che tipo di dialogo può accettare questo settore della società in un contesto democratico? Il discorso sul ritorno alla democrazia, la festa di insediamento di Lula con un forte accenno simbolico alla diversità non hanno senso, non raggiungono la fascia bolsonarista della popolazione nello stesso modo in cui hanno raggiunto il resto del mondo.

COME RISULTATO di una crisi di fiducia nella stampa e nelle istituzioni tradizionali, c’è una discrepanza nell’accesso e nell’interpretazione delle notizie, che si riflette in una rottura delle visioni del mondo tra settori progressisti e bolsonaristi.

Rendere le grandi piattaforme di comunicazione responsabili di questo problema sarà quindi fondamentale per costruire un tessuto sociale più coeso nelle strade. È necessario stringere un patto tra autorità pubbliche e le big tech per attuare politiche più solide ed efficaci, al fine non solo di contrastare la disinformazione, ma anche di pensare a come sgonfiare le bolle informative create dagli stessi algoritmi dei social network, poiché sono questi, oggi, una delle principali fonti di informazione per la popolazione. Non è possibile pensare alla democrazia senza che alcune verità elementari siano condivise all’interno della stessa società.