Europa

Sanzionata la Spagna: bruciare la foto del re si può

Sanzionata la Spagna: bruciare la foto del re si puòBrucia la foto dei reali nella manifestazione del 2007 a Girona – Toni Vilches - Efe

Strasburgo «È espressione simbolica di rifiuto e di critica politica», la Corte europea dei diritti umani sanziona il Paese dopo il ricorso di due indipendentisti catalani che nel 2007, a Girona, diedero fuoco a un'immagine dei reali

Pubblicato più di 6 anni faEdizione del 14 marzo 2018

La legislazione spagnola interferisce con la libertà d’espressione. È quanto scritto nella sentenza del Tribunale europeo dei diritti umani che ha stabilito che bruciare le foto del re è una «espressione simbolica di rifiuto e di critica politica» e non già «un attacco personale» al re con l’obiettivo di «insultare e denigrare la sua persona». Un delitto contro la Corona, che in Spagna viene punito dal codice penale.

I fatti su cui si è espressa la Corte europea risalgono al 2007, quando due indipendentisti catalani, alla vigilia della visita dell’allora monarca Juan Carlos alla città di Girona, bruciarono una foto del capo di stato, capovolta a testa in giù. Per questo reato dovettero pagare una multa di 2.700 euro, per non finire in carcere per 15 mesi. Il Tribunale Costituzionale spagnolo, a maggioranza, nel 2015 rigettò il loro ricorso argomentando che è necessario «sanzionare e incluso prevenire tutte le forme di espressione che propagano, incitano, promuovono o giustifichino l’odio basato sull’intolleranza».

All’unanimità ieri il Tribunale di Strasburgo ha valutato invece che la Giustizia spagnola ha vulnerato l’articolo 10 della Convenzione europea dei diritti umani che difende la libertà di espressione e condanna la Spagna a indennizzare i due ricorrenti. I magistrati europei hanno respinto la tesi della Corte costituzionale spagnola, ricordando che il delitto di odio è pensato per proteggere le minoranze discriminate, non le istituzioni. E spiegando alla Spagna che si trattava di una contestazione al re come simbolo e capo di stato, il che, dicono i giudici di Strasburgo, «entra nella sfera della critica politica o dissidenza».

Ma la Spagna, Spagna, come spiegava il manifesto qualche giorno fa, ha un problema assai più strutturale con la libertà di espressione. E infatti, non a caso, proprio ieri Amnesty International ha pubblicato un dirompente rapporto intitolato «Twitta… se hai coraggio: come la legge antiterrorismo limita la libertà d’espressione in Spagna», che denuncia che decine di utenti dei social media, musicisti, giornalisti e persino burattinai sono stati processati per motivi legati alla sicurezza nazionale e che il governo fa «un uso abusivo» delle leggi antiterroriste. «La Spagna è l’emblema della preoccupante tendenza di limitare indebitamente l’espressione con il pretesto della sicurezza nazionale e togliere diritti con la scusa di difenderli», ha spiegato Eda Seyhan, portavoce di Amnesty.

Ma i politici spagnoli non vogliono saperne: Pp, Ciudadanos e Psoe proprio ieri hanno votato contro la proposta di Esquerra Republicana di abolire dal codice penale il delitto di ingiurie alla Corona. Alberto Garzón e Unidos Podemos avevano fatto il mese scorso una proposta simile, aggiungendo l’abolizione del reato di esaltazione del terrorismo.

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