Ad aprile la regione Campania in Conferenza Stato – Regione è stata l’unica a rompere sulla riforma della Sanità territoriale bocciando il piano del governo perché privo delle risorse per assumere il personale nelle Case e negli Ospedali di comunità. L’esecutivo si è quindi dovuto assumere la responsabilità di approvare il dm 71 (che in Gazzetta ufficiale è poi diventato dm 77) senza il parere unanime delle regioni. A giugno il governatore De Luca ha aperto un secondo fronte facendo ricorso al Tar rispetto ai criteri con cui ogni anno vengono ripartite le risorse del Fondo sanitario nazionale. La legge stabilisce che debbano essere assegnate per ogni territorio in base a tre parametri: la popolazione anziana, l’aspettativa di vita e la deprivazione sociale. Ma di fatto si tiene conto solo del primo criterio. «Per pararsi rispetto al ricorso – ha spigato De Luca – dal ministero hanno mandato una nuova bozza di criteri: per il 99% si applicano quelli vecchi, cioè l’età anagrafica, poi 0,5% e 0,5% attribuito ad aspettativa di vita e deprivazione sociale. Un provocazione alla quale risponderemo su tutti i piani».

I CRITERI dovranno passare in Conferenza Stato – Regioni dove De Luca annuncia un nuovo voto contrario. Applicando la spesa storica, la Campania ci rimette ogni anno 220milioni, 13mila unità di personale in meno in proporzione alla popolazione. Sulle Case di comunità duro il giudizio del governatore: «Siamo difronte a una truffa politica e mediatica. In Campania, dove abbiamo un ritardo storico nella medicina territoriale, ne dovremmo realizzare secondo il piano nazionale 171. Abbiamo rotto con il governo perché abbiamo posto una domanda al ministro della Salute: i fondi per il personale ci sono o no? Il direttore generale del ministero dell’Economia ci ha detto che non è in grado di darci nessuna cifra».

SU UN QUADRO frammentato c’è il serio pericolo che si innesti l’autonomia differenziata voluta dalle regioni del Centro Nord. Spiega Andrea Filippi, segretario nazionale Fp Cgil Medici: «Serve un’iniziativa seria di tutela del Servizio sanitario pubblico e statale. Il ministero della Salute è sottoposto alle decisioni del Mef ma ci sono anche responsabilità di chi non sta difendendo con il governo l’universalità del Ssn. Invece si sta cavalcando una proposta che verrà presentata come legge quadro, strutturata dalla ministra Gelmini, che approfondisce differenze e diseguaglianze nell’offerta di salute».

QUALI SARANNO le conseguenze? «Maggiore autonomia in termini di formazione, di rapporti di lavoro e di contratti – prosegue Filippi -, differenziazione sulle spese. I presìdi sanitari avranno spese non uniformate, si approfondiranno gli sprechi. Se ci mettiamo nella prospettiva della presa in carico dei cittadini dal punto di vista sociosanitario, si può ancora insistere sulle differenze regionali?». Su una situazione già diseguale si vorrebbe innescare un’ulteriore spaccatura: «Non introdurre nel riparto dei fondi ordinari criteri perequativi adeguati – sottolinea ancora Filippi – rischia di svantaggiare le regioni con una struttura economico sociale più fragile. Ma approfondire le diseguaglianze è strategico per favorire lo sviluppo del privato. E se si arriverà all’autonomia differenziata, molte regioni la useranno per gestire come meglio credono la Sanità. Chi si illude, come il presidente del Lazio Zingaretti, che si troverà la giusta convivenza tra pubblico e privato è un sognatore perché la convivenza non esiste: il privato cerca il profitto e il pubblico deve garantire la salute, è una chiara concorrenza sleale. Le due non possono convivere neppure nella forma della sanità integrativa o convenzionata».

GRAVE, quindi, una distribuzione ingiusta delle risorse: «Favorisce i privati là dove l’offerta sanitaria non è adeguata alle richieste dei cittadini. E questo viene confermato nell’operazione messa in piedi con il dm 77 che individua strutture e intelaiatura dell’assistenza territoriale con il Pnrr ma senza risorse sul personale e con un sistema formativo in ritardo di 10 anni. I servizi saranno esternalizzati». Le fragilità nell’organizzazione del Ssn sono tutti varchi aperti al privato: «Non si può organizzare la Sanità in modo frammentato, in cui nemmeno i rapporti di lavoro sono uniformi – conclude Filippi -. È indecente che il ministro dica che i rapporti di lavoro con il Ssn sono una cosa secondaria per garantire la salute. Così strizza l’occhio alla progressiva autonomizzazione dei camici bianchi, al rapporto libero professionale con i medici che, isolati, diventano capitalisti di se stessi. Nell’emergenza urgenza, dove non si trovano medici, si legalizza il cottimo. Un Ssn universale, equo e statale deve prevedere un’organizzazione del lavoro e dei servizi uniforme ed efficiente ovunque. Più elementi di divisione e frammentazione introduciamo, più il sistema non sarà riformabile e alla fine non governabile.