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Sánchez cede un seggio al Pp e resta appeso a Puigdemont

Sánchez cede un seggio al Pp e resta appeso a PuigdemontGirona, comizio in modalità remota per Carles Puigdemont, leader in esilio di Junts per Catalunya – Europa Press via Ap

Spagna Il riconteggio dei voti dall’estero in Spagna determina un piccolo ma significativo cambiamento. Che complica la vita al leader socialista e fa aumentare la pressione sui catalani di Junts, sempre più decisivi per la nascita del nuovo governo. Trattative in corso

Pubblicato circa un anno faEdizione del 30 luglio 2023

La strada si fa più in salita per Pedro Sánchez. Venerdì notte, il conteggio dei voti giunti dall’estero e che in Spagna si contabilizzano per ciascuna delle circoscrizioni in cui è diviso il paese, ha fatto cambiare gli equilibri. Un cambiamento piccolo ma molto significativo. Nella circoscrizione di Madrid, il riconteggio ha fatto perdere un seggio ai socialisti in favore del Partito Popolare. Nelle altre circoscrizioni, i nuovi voti degli expat – in totale hanno votato 230 mila persone sui 2 milioni 300 mila aventi diritto – non hanno modificato la ripartizione dei seggi.

La partecipazione degli elettori esteri ha raggiunto il record da 12 anni a questa parte (circa il 10%, l’ultima volta erano stati il 6%): il governo ha infatti modificato il sistema di voto, rendendolo molto più semplice.
I risultati definitivi per camera e senato verranno resi pubblici solo oggi, ma non ci si aspettano nuovi colpi di scena.

A QUESTO PUNTO la situazione è che il partito popolare, con Vox e due piccoli alleati (Upn e Coalición canaria) raggiungono i 172 seggi, mentre il Psoe, Sumar e tutti i loro alleati della scorsa legislatura non superano i 171. Nessuno dei due grandi da solo arriva alla maggioranza assoluta di 176 voti, ma stavolta se l’ultimo partito, i catalani di Junts, si astengono in seconda votazione, ad avere la maggioranza relativa sufficiente per far partire il governo, sarebbe Alberto Núñez Feijóo e non Pedro Sánchez.

Ora deve prendere una decisione chiara Junts, il cui leader, Carles Puigdemont, ex presidente catalano autoesiliatosi e attuale eurodeputato, ha passato tutta la campagna elettorale dicendo che non avrebbe fatto presidente Sánchez. Fino a venerdì sarebbe bastata un’astensione; ora, se non vogliono Vox e il loro centralismo anticatalano al governo a Madrid, devono votare sì a Pedro Sánchez.

Nonostante questo colpo di scena, che regala al Pp un piccolo vantaggio, sembra ancora più probabile un Sánchez ter che un governo Feijóo. Ma Junts è stretto nel dilemma se rimangiarsi le proprie promesse elettorali per evitare un governo fascista a Madrid o riprendere le ostilità, ma con un governo, almeno a parole, più aperto al dialogo sulla questione catalana. Rimane sempre aperta la possibilità di una ripetizione elettorale, che scatta se nessun candidato riesce a ottenere più sì che no, dopo 60 giorni dalla prima sessione di investitura. Questo scenario si è già dato due volte negli ultimi 10 anni. Ma per il momento l’ipotesi viene scartata da tutti gli alleati veri o potenziali di Sánchez, pienamente consapevoli che vorrebbe dire rischiare, stavolta sì, di consegnare il paese alla destra.

LE PRIME MANOVRE di Esquerra republicana, che nella scorsa legislatura ha appoggiato quasi sempre il governo, sono di cercare di coordinarsi con Junts, nel tentativo di portare assieme le proprie istanze catalaniste sul tavolo delle trattative. Nel frattempo, un fedelissimo di Ada Colau, l’ex deputato e avvocato del lavoro Jaume Assens, è stato spedito a trattare discretamente con Junts e il mondo indipendentista da parte di Sumar e Yolanda Díaz.

Trovare la quadra non sarà semplice: le principali richieste di bandiera degli indipendentisti sono sempre amnistia per tutti i condannati per i reati connessi con l’indizione del referendum di indipendenza nel 2017 e referendum di autodeterminazione, due linee rosse per i principali partiti di Madrid (ma non per Sumar).

Di amnistia in Spagna ce n’è stata solo una, dopo la fine della dittatura, nel 1977. E un referendum in Spagna lo può convocare solo il presidente del governo: in teoria si potrebbe trovare una formula non vincolante per farlo, ma è un passo che il Psoe certamente ora non è preparato a fare (anche se i voti indipendentisti sono a un minimo rispetto al 2017). Saranno sicuramente le promesse economiche e di decentralizzazione a giocare un ruolo da protagonista nelle trattative.

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