Non c’era fisicamente Marine Le Pen, alla kermesse romana dell’ultradestra europea organizzata da Salvini. Ma è arrivato da lei il fuoco d’artificio con cui la Lega apre la sua campagna elettorale. In un quadro di lotta fratricida, all’ultimo sangue, con Giorgia Meloni. Nel video mandato all’amico italiano, Le Pen si rivolge direttamente alla premier italiana: «Giorgia, sosterrai il secondo mandato di von der Leyen? Io credo di sì. E così contribuirete ad aggravare le politiche di cui soffrono terribilmente i popoli d’Europa».

E ancora: «Dovete dire agli italiani la verità, dire cosa farete dopo il voto. Sono convinta che in Italia ci sia un solo candidato a destra che si opporrà con tutte le forze a von der Leyen: è Matteo Salvini. Con la Lega eleggerete deputati che non vi mentiranno e fermeranno le politiche della decrescita, quelle contro gli agricoltori, quelle che vogliono imporci la sottomissione all’islamismo più radicale». Concetto ribadito poco dopo anche dal leader portoghese di Chega, Andrè Ventura.

PIÙ CHE UN INTERVENTO, un mega spot. Salvini in cassa soddisfatto. Quando prende la parola dice che non conosceva in anteprima le parole della collega francese (excusatio di pura maniera) e poi rilancia: «Ve lo dico con assoluta chiarezza: chi vota Lega sa che non sosterremo mai un governo di von der Leyen o con la sinistra. Difficile che possa rimediare agli errori la squadra che li ha prodotti. Questa Ue ha fallito».

Per ricambiare il favore a Le Pen, ma anche per convinzione, il vicepremier apre un altro problema a Meloni (e al ministro degli Esteri Tajani) attaccando duramente Macron sulla proposta di inviare truppe in Ucraina: «Il presidente francese è un guerrafondaio e rappresenta un pericolo per il nostro Paese e per l’Europa. Non voglio lasciare ai miei figli un continente pronto a entrare nella terza guerra mondiale». Il leghista evoca Trump, «solo con i presidenti repubblicani ci sono stati anni di pace e prosperità», dimentico delle guerre di George W. Bush in Iraq e Afghanistan. Per non apparire troppo putiniano, viste le polemiche dopo la sua benedizione alle elezioni russe, si concede un inciso: «È evidente che tra Russia e Ucraina sappiamo distinguere tra aggressore e aggredito».

A meloni dedica qualche altro passaggio. Parlando della necessità di «dire sempre quello che si pensa, senza temere la dittatura del politically correct» (evocata dall’ospite americano Vivek Ramaswamy, vicino a Trump), confessa: «Quante crisi di governo se ogni giorno potessimo dire quello che pensiamo…» . Poi corregge il tiro: «Giorgia è un’amica, provano a dividerci ma non ci riusciranno: il governo dura fino al 2027».

L’EVENTO AI TIBURTINA studios di Roma, Winds of Change, come la hit degli Scorpions, è a porte chiuse: ingresso vietato nel salone dove Salvini ha radunato un migliaio di e supporter da tutta Italia. Ci sono Roberto Calderoli, il capogruppo alla Camera Riccardo Molinari, il ministro dell’Istruzione Valditara, l’europarlamentare Susanna Ceccardi, la fedelissima sottosegretaria alla Cultura Lucia Borgonzoni. Nessun governatore.

A Giorgetti tocca pure l’intervento dal palco, subito dopo gli europarlamentari belga e austriaco, Gerolf Annemans e Harald Vilimsky, che hanno sparato a zero contro Bruxelles: «Sperare che la Ue dalla mentalità comunista risolva i problemi è come confessarsi al diavolo», dice il fiammingo. Il ministro dell’Economia è teso: se la cava con un sermoncino sulla necessità di liberare gli animal spirits del capitalismo dal giogo della burocrazia Ue. Quella «montagna di regole» che «soffocano anche in Pnrr», oltre a «impedire da mesi» il matrimonio tra Ita e Lufthansa

SALVINI DICE DI NON LEGGERE più i giornali «per evitare di prendere le pillole per la pressione». Ma poi appare molto documentato sugli articoli che descrivono i malumori interni contro di lui. «Stanno provando mediaticamente a farci passare la voglia, ma hanno trovato la persona sbagliata e il movimento sbagliato: io vado avanti col sorriso». Il deputato romagnolo Jacopo Morrone prova a dargli manforte, ma è una delle pochissime voci che si levano in lode del Capitano a kermesse conclusa: «Matteo è uno statista, non è un caso se i media di sinistra lo mettono sempre nel mirino, cercando crepe inesistenti nella Lega».

IL MENÙ DI IERI PERÒ era per palati forti. Non tanto per l’antieuropeismo spinto degli oratori belga e austriaco, e la xenofobia del portoghese Ventura, che parla degli immigrati come persone «che vengono qui per distruggere la nostra cultura dall’interno» e «dell’ideologia lgbt che mira a distruggere i valori europei») , quanto per la telepredica fondamentalista dell’americano Ramaswamy, che parla di «vuoto nel cuore quando non c’è la fede in Dio», vuoto che «viene riempito dal veleno di teorie woke, trasngender e sul clima». La tesi è semplice: chi si allontana dalla triade Dio, Patria e Famiglia è un’anima persa, dunque serve «una guerra per salvare l’anima dell’Occidente». Concetti che non entusiasmano gente come Zaia. Ma Salvini, che si gioca la battaglia della vita alle europee, ha deciso che queste sono le uniche armi a disposizione. E le userà per sottrarre voti a Meloni.