Sale a 402 il bilancio dei morti. Khamenei: «La rivolta è debole»
Iran Quasi 17mila gli arrestati, tra i 16 e i 22 anni. E il leader supremo si rivolge ai giovani: «Troppo piccoli per danneggiare il sistema»
Iran Quasi 17mila gli arrestati, tra i 16 e i 22 anni. E il leader supremo si rivolge ai giovani: «Troppo piccoli per danneggiare il sistema»
La maggior parte delle persone arrestate in questi due mesi di proteste ha tra 16 e 22 anni. È pensando a loro che il leader supremo ha dichiarato: «Sono troppo deboli e troppo piccoli per danneggiare il sistema».
Se lo slogan dei giovani è «Donna, vita, libertà», nulla è più distante dalla leadership religiosa che è rimasta ferma alle parole d’ordine del 1979: «Morte all’America» e velo obbligatorio. C’è un abisso tra i dimostranti e la leadership della Repubblica islamica, in termini di valori e desideri.
Con questa dichiarazione l’ayatollah Khamenei, 83 anni, ha ribadito che non ha intenzione di cercare un compromesso. Intanto, sono almeno tre i manifestanti uccisi dalle forze governative a Divandar, nel Kurdistan iraniano, dopo che le forze di sicurezza hanno aperto il fuoco contro i residenti.
GLI ATTIVISTI in difesa dei diritti umani aggiornano a 402 morti il bilancio delle vittime dall’inizio delle proteste scatenate dalla morte di Mahsa Amini. Tra queste si contano anche 58 minori. Il rapporto afferma che i morti si sono registrati in 150 città e 140 università, mentre sono oltre 16.800 gli arrestati, tra cui 524 studenti.
Eppure, non tutti i quartieri e non tutte le località sembrano essere interessati dalle proteste. Lo storico Raffaele Mauriello vive da quindici anni a Teheran, dove insegna all’Università Allameh Tabataba’i: «La maggioranza degli iraniani ha visto le manifestazioni in tv e sui social. Girando per le strade della capitale e nelle regioni settentrionali del Gilan e Mazandaran non ho la sensazione che vi siano proteste di rilievo. Nella mia università, la più importante nelle scienze umanistiche e sociali, alcuni studenti hanno manifestato rabbia contro le istituzioni, ma non brutalità, anche se vedendo i video di eventi in zone periferiche è evidente la dimensione violenta anche tra i manifestanti, tant’è che sono morti almeno 53 membri delle forze dell’ordine».
Residente con la famiglia nel quartiere centrale di Yousefabad – caratterizzato dalla presenza di ebrei e sinagoghe e in passato anche di armeni – Mauriello osserva che tra le cause delle proteste «vi è la chiusura di un paese in cui i giovani chiedono invece apertura, globalizzazione e libertà sociali».
Sull’importanza delle proteste, «per durata, portata geografica e critica contro le autorità, rappresentano un ulteriore allontanamento dai precetti della rivoluzione islamica. Per numero di partecipanti e per il sostegno di dirigenti di primo calibro, quelle del 2009 – seguite alla discussa rielezione del presidente Ahmadinejad – furono però più rilevanti, anche se concentrate soprattutto a Teheran. Anche se all’epoca le attese rimasero irrisolte, le richieste di chi protestava erano più chiare e realizzabili».
I PUNTI DI FORZA delle proteste di oggi sono «la grande ripercussione mediatica e la mobilitazione senza precedenti della diaspora, numerosa e benestante; la partecipazione attiva soprattutto di studenti universitari; la relativa debolezza del governo giacché eletto con la minor partecipazione popolare e sottoposto a un elevato numero di sanzioni statunitensi; l’ingerenza di Arabia saudita, Israele e Stati uniti, ma anche Azerbaijan, Regno Unito e Francia».
In merito alle debolezze, «il potere mediatico della diaspora e dell’opposizione non si riflette in forza politica all’interno del paese, delle sue istituzioni e delle forze di sicurezza. Inoltre, gran parte di tale potere mediatico è legato a media finanziati da stati nemici. Se gli universitari continuano a protestare e acquisiscono così un’esperienza politica rilevante, altri settori non si sono uniti in modo significativo alle proteste: operai, commercianti, professori e insegnanti, persone sopra i trent’anni, grandi centri di potere e i loro politici di riferimento».
Autore di numerose pubblicazioni scientifiche sull’Islam sciita e sull’Iran, in merito alle istituzioni Mauriello precisa: «Si definiscono islamiche ma non garantiscono giustizia sociale e impongono il rispetto di norme islamiche anche in campi che in Europa corrispondono all’etica privata, in un clima caratterizzato da un alto grado di corruzione».
VIENE DA CHIEDERSI di quanto sostegno popolare goda ancora la Repubblica islamica: «Una fascia importante della popolazione continua a sostenerla, anche se in maniera sempre più critica, un’altra altrettanto significativa vi si oppone frontalmente. Tra questi due estremi si colloca la maggioranza degli iraniani: sono critici, ma non vedono alternative credibili e potrebbero essere pronti al compromesso se le istituzioni si dimostrassero capaci di affrontare i problemi economici e volessero riaprire la partecipazione politica».
Infine, conclude Mauriello, «la quasi totalità dell’informazione sull’Iran a cui avete accesso in Italia dà voce solo alle proteste e quindi ai dimostranti, ma la mia esperienza in Iran mi induce alla prudenza».
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