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S. A. Cosby nel cortocircuito dell’identità

S. A. Cosby nel cortocircuito dell’identitàLa statua di Robert E. Lee nel centro di Richmond. È stata rimossa nel 2020 dopo lunghe proteste – Getty images

L'intervista Parla lo scrittore della Virginia, autore di «Legittima vendetta», pubblicato da Rizzoli. Due balordi, uno bianco e l’altro nero, indagano sull’omicidio dei loro figli gay tra razzismo e omofobia. «Sono cresciuto con uomini come Ike e Buddy Lee, in un ambiente in cui la mascolinità riguardava l’essere dei "duri", qualunque cosa ciò significhi. Niente spazio per dire i propri sentimenti». «Dove vivo c’è una statua confederata davanti al tribunale e la mia scuola portava il nome dei generali sudisti. I nostalgici devono vedersela però ogni giorno con gli eredi di chi allora soffrì molto»

Pubblicato più di un anno faEdizione del 19 aprile 2023

Si conoscono al funerale dei loro figli, assassinati apparentemente senza motivo, dopo che entrambi avevano scelto di non partecipare al matrimonio dei due giovani e fatto sempre i conti malvolentieri con l’idea che Isiah e Derek si amassero pur essendo dello stesso sesso. Ike Randolph è un nero, ex affiliato ad una delle bande criminali della zona, ha scontato una lunga pena e di quel passato turbolento porta ancora i segni visibili nei tatuaggi che gli coprono entrambe le mani. Buddy Lee Jenkins è un bianco, anche lui passato per la galera, ma è sempre stato un pesce piccolo della malavita e ora vive in un «quartiere» di roulotte e non passa mai molto tempo lontano dalla bottiglia.

A legare i protagonisti di Legittima vendetta (Rizzoli, pp. 364, euro 19), dello scrittore afroamericano S. A. Cosby, nato e cresciuto in Virginia e affermatosi come una delle voce nuove del noir statunitense dopo aver fatto mille lavori, è prima di tutto la volontà di capire chi sia responsabile della morte dei loro ragazzi. Ma, man mano che l’indagine procede, nei due uomini non certo abituati a rivelare i propri sentimenti, si fa strada la consapevolezza che per loro quello è un modo per riconciliarsi con i figli perduti e far emergere quell’amore che in vita non erano mai riusciti a manifestargli fino in fondo.

Ambientato per le strade di un Sud dove il passato riemerge di continuo, e mentre l’elezione di Trump sta contribuendo a spargere altro odio nella società, Legittima vendetta interroga il modo in cui il razzismo e l’omofobia si intrecciano, coinvolgendo anche la comunità nera, e rende evidenti le contraddizioni che si celano dietro ogni identità, rivelando come l’amore sia spesso l’unica giustizia possibile.

Lo scrittore S. A. Cosby in una foto di Sam Sauter

Nel cercare di scoprire chi ha ucciso i loro figli, Ike e Buddy Lee indagano anche dentro di sé, piangendo «lacrime per chi erano e per quel che avevano perso». Lacrime che, come recita il titolo americano (Razorblade tears), «gli tagliavano la faccia come la lama di un rasoio». Oltre alla verità stanno cercando una forma di redenzione?
Volevo che i personaggi compissero un percorso di redenzione, ma si tratta di un viaggio strettamente personale che ciascuno deve intraprendere da solo. Sono cresciuto con uomini come Ike e Buddy Lee. Non necessariamente uomini violenti, ma emotivamente chiusi, che non erano in grado di articolare o comunicare le loro fragilità, i loro sentimenti. Sono cresciuto in un ambiente in cui la mascolinità riguardava l’essere dei «duri», qualunque cosa ciò significhi. Perciò quando ho iniziato a scrivere il libro, ho pensato alle figure di Ike e Buddy Lee perché assomigliano alle persone che conosco e ho avuto sempre intorno: quelle che hanno più bisogno di leggere una storia del genere.

Nei protagonisti emerge il bisogno di incontrare forse per la prima volta quei due figli morti che entrambi avevano rifiutato perché omosessuali: la giustizia che cercano assume il volto della consapevolezza?
Penso che stiano cercando la vendetta, ma è proprio in quella vendetta che troveranno l’amore che avevano negato ai loro figli quando erano in vita. Ma è una forma d’amore davvero amara: un amore per ciò che gli è mancato per così tanti anni: quello dell’intera esistenza dei loro ragazzi.

Ha spiegato di aver tratto almeno in parte ispirazione da una storia vera…
Si, dalla vicenda di un mio amico, un afroamericano che qualche hanno fa ha deciso di fare coming out con la propria famiglia. La sua esperienza non è stata affatto positiva e questo mi ha fatto venire voglia di parlare di omofobia e razzismo e di come si tratti di questioni che spesso coesistono nell’esperienza della comunità nera.

Razzismo e omofobia, temi che attraversano la comunità Lgbtq+, voleva contribuire al dibattito?
Credo che il mio desiderio principale fosse quello di iniziare una sorta di conversazione, non che non fosse mai avvenuto prima, ma diciamo che volevo contribuire a riaccenderla. Come scrittore, non presumo mai di avere alcuna risposta, ma cerco di impegnarmi a fondo per porre tutte le domande.

Ike spiega a Buddy Lee quanto sia difficile per un nero condurre una vita «normale» senza essere fermato di continuo dalla polizia o rischiare la vita a causa dei pregiudizi di un bianco. E per uno scrittore di romanzi polizieschi?
Credo che per questo romanzo, il colore della mia pelle sia un elemento importante perché mi consente di dare voce a un sentimento che molti afroamericani hanno provato nel corso della loro vita. Per questo non ho paura di affrontare l’idea molto reale del razzismo presente nella nostra società. Del resto, anche i miei personaggi lo fanno.

Lei cita spesso Chester Himes e Walter Mosley tra gli autori che l’hanno influenzata, ma si può parlare di una via afroamericana al romanzo poliziesco?
Non penso che ci sia un solo modo per scrivere un romanzo poliziesco afroamericano, ma che l’esperienza degli afroamericani con la legge di questo Paese trovi spesso un’eco più sfumata all’interno di molta parte della narrativa crime. Molte volte il detective è l’unica persona che cerca giustizia per i neri. Diciamo che in una storia scritta da un nero è forse più probabile che le cose siano un po’ più complesse. Personalmente, devo molto ad uno dei capolavori di Walter Mosley, Il diavolo in blu (riproposto in Italia nel 2021 da 21lettere e ambientato nella Los Angeles nera del dopoguerra dove muove i suoi primi passi l’investigatore Easy Rawlins, originario della Louisiana, ndr) che mi ha fatto capire che potevo scrivere delle persone con cui sono cresciuto e non aver paura che il mio lavoro fosse troppo «nero» o troppo legato al mondo dei piccoli centri di campagna.

«Legittima vendetta» è anche uno spaccato della vita nel cuore del «vecchio Sud», quali sono le caratteristiche della narrativa che si è sviluppata in questa parte d’America e i vostri riferimenti letterari?
Sono convinto che la «Southern Fiction» abbia una connessione fisica quasi letterale con la terra e la riproponga costantemente in storie di fantasia, talvolta dalle venature gotiche o implicitamente noir. Devo dire di aver amato molto e di sentirmi in qualche modo influenzato da William Faulkner, Flannery O’Connor, Ernest J. Gaines, Harry Crews, Cormac McCarthy.

Nato è cresciuto in Virginia, lei abita vicino a Richmond che fu capitale della Confederazione schiavista: cosa significa vivere dove i fantasmi del passato abitano ancora il presente?
Le dirò di più, vivo in una cittadina dove c’è ancora una statua confederata davanti all’edificio del tribunale e ho frequentato la scuola elementare Lee-Jackson che prendeva il nome da Robert E. Lee e Stonewall Jackson, due generali sudisti che se avessero vinto la guerra mi avrebbero costretto ancora oggi a lavorare nei campi di cotone. Perciò, a vivere qui l’angoscia fa i conti con la necessità di trovare in sé la forza: da queste parti gli apologeti di quel mondo devono misurarsi ogni giorno con chi a causa di quelle idee ha lavorato, sudato, sanguinato e morto. E, personalmente, non sono disposto a cedere neppure più un solo millimetro a chi ha nostalgia per quel passato.

Ad un certo punto, uno dei personaggi del libro afferma: «Sembra che grazie a certi pezzi grossi l’odio sia tornato di moda in America». Si tratta dell’effetto che ha avuto sul Paese l’elezione di Trump? E come guarda alla possibilità che possa tornare alla Casa Bianca?
Sì, certo, è un riferimento evidente a Trump e al modo in cui la sua costante aggressività ha riportato in auge nel Paese un certo tipo di ignoranza pericolosa. Perciò, spero davvero che le persone abbiano imparato e non commettano più errori con Trump.

Nel libro, una banda di motociclisti bianchi e razzisti fa il «lavoro sporco» per degli insospettabili: una fotografia del crimine negli Usa di oggi?
Penso che ci saranno sempre persone che fanno il lavoro sporco per forze molto più potenti di loro. Quindi è qualcosa che esiste nella realtà, anche se non se si tratti di una specificità del crimine americano.

Nella storia non c’è traccia di compiacimento di fronte alla violenza, nessuna spettacolarizzazione. Come affronta questo elemento così presente nella vita quotidiana del suo Paese?
Penso di sforzarmi per rendere il più reale possibile la violenza e far sì che emergano le conseguenze che produce. Così sono sicuro che il peso di questi comportamenti è reso in un modo che non ricordi i cartoni animati, come accade spesso.

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