Ruanda, uno sponsor in fuorigioco
Calcio e politica in Premier League Dopo l’accordo siglato dal governo britannico per deportare migranti in un paese che calpesta i diritti umani, i tifosi dell’Arsenal tornano alla carica per rimuovere la scritta "turistica" dalle maglie e rinunciare ai soldi di Paul Kagame
Il recente accordo tra Boris Johnson e il Ruanda – che prevede la deportazione degli immigrati «illegali» dal Regno Unito nel paese africano – sta avendo ripercussioni anche sul mondo del pallone. L’Arsenal, uno dei club di punta della Premier League, poco dopo l’annuncio della sigla del memorandum tra il governo britannico e il presidente del Ruanda, Paul Kagame, è stato inondato di critiche dalla sua tifoseria: poche settimane prima era stata rinnovata una partnership commerciale con il Ruanda, che prevede sulle maniche della maglia il logo «Visit Ruanda». Un invito turistico a visitare il paese africano, in cambio di circa 40 milioni di euro spalmati in tre anni, che finora pare abbia fruttato un aumewnto del turismo estero in Ruanda del 17%.
ANCHE IL PARIS SAINT GERMAIN degli sceicchi nel frattempo ha sottoscritto un accordo di sponsorizzazione con il governo ruandese. Ma i tifosi dell’Arsenal hanno chiesto alla proprietà del club di sciogliere immediatamente questo vincolo commerciale. Il problema è in realtà sul tavolo da diversi anni, precisamente dal 2018, anno dell’accordo tra l’Arsenal e Kigali. Già allora il puzzle intorno alla figura di Kagame era stato completato. Il leader politico che Johnson utilizzerà e pagherà per sbarazzarsi dei migranti, si era già, più volte, segnalato per violazione dei diritti umani, processi sommari e cacce all’uomo. A Johnson non importa, la soluzione più facile è stata spedire i profughi indigesti a chi viene considerato solo come il guerrigliero che negli anni ’90 portò fuori dalla guerra civile un paese-mattatoio, dopo un genocidio da oltre un milione di morti.
KAGAME È MOLTO STIMATO da diversi leader occidentali: come ricorda un recente articolo di Politico, Bill Clinton lo ha definito «uno dei più grandi leader del suo tempo» e di «un visionario» ha parlato l’ex faro del laburismo Tony Blair. Kagame ha stretto anche rapporti con Bill Gates, è salito sullo scranno di Harvard per diverse conferenze, anche l’ex segretario delle Nazioni unite, Ban Ki Moon, lo ha ricoperto di elogi. Insomma, il presidente ruandese raccoglie diversi fan in Occidente e il suo investimento sulla Premier League non fa altro che accrescere le simpatie nei suoi confronti, perché porta tanti soldi nel torneo calcistico più ricco d’Europa.
Tecnicamente si può definire sportswashing, ripulirsi l’immagine attraverso lo sport, ospitando grandi eventi internazionali come avverrà in inverno con i Mondiali in Qatar, oppure staccando assegni per legarsi a doppia mandata a tornei come la Premier League. È avvenuto precedentemente anche per i Mondiali russi voluti da Vladimir Putin nel 2016 e anche altri sport, in nome dei dollari, hanno solcato campi e autodromi in paesi con diversi precedenti sulla coscienza.
HUMAN RIGHTS WATCH e Amnesty International negli anni hanno segnalato che una decina tra giornalisti, politici, oppositori di Kagame sono stati ritrovati senza vita in circostanze sospette. La liturgia muscolare contro il dissenso si verifica dal 2002: alcuni sono finiti in carcere, altri sono stati spediti in esilio e poi eliminati fisicamente tra Kenya, Mozambico, Sudafrica. Il caso più mediatico conduce a Paul Rusesabagina, un ex albergatore, allergico ai metodi di Kagame, che ha salvato diversi rifugiati hutu e tutsi durante il genocidio in Ruanda (ispirando il famoso film hollywoodiano Hotel Ruanda): due anni fa è salito su un aereo a Dubai, destinazione Burundi, e si è ritrovato a Kigali, capitale del Ruanda, dove il governo ha spiegato di aver agito sulla base di un mandato internazionale di arresto per nove accuse di terrorismo. Le associazioni a tutela dei diritti umani hanno provato ad alzare la voce, Rusesabagina stava pagando la sua inimicizia con Kagame. Un anno dopo è finito a processo con altri 20 sospettati di terrorismo E condannato a 25 anni di carcere.
Il calcio c’entra parecchio in questo circolo poco virtuoso di abusi e morti, perché Kagame da quasi 30 anni si serve del legame con la Premier League per attirare i ricconi dell’Occidente nel suo paese, che è ancora uno dei 20 più poveri del pianeta, dove una persona su quattro non ha ancora accesso all’acqua potabile. Nel 2004, con la prima qualificazione del Ruanda alla Coppa d’Africa, era considerato l’artefice della rinascita del paese che si era allontanato dalla ferocia interetnica, anche attraverso il pallone. Quattro anni fa ha inaugurato il suo quarto mandato presidenziale dopo aver vinto le elezioni con il 99% dei consensi, l’anno prima già strapagava l’Arsenal, che incassa una cifra quadrupla rispetto all’investimento annuo del Regno Unito in Ruanda per sostenere lo sviluppo del paese.
I SUPPORTER DEI “GUNNERS”, dopo l’intesa Johnson-Kagame sui migranti, sono tornati alla carica, vogliono la rottura di quell’accordo commerciale che va a toccare la reputazione del club britannico. Un appello che per ora non arriva dai tifosi del Paris Saint Germain, forse distratti dalla potenza dell’emiro che porta Neymar, Messi, che offre 50 milioni di euro l’anno al francese Mbappè per restare a Parigi e non scegliere il Real Madrid.
E mentre la tifoseria dell’Arsenal protesta, il Guardian pubblica un nuovo articolo sulle accuse di violenze, di eliminazione fisica dei dissidenti, di violazione dei diritti umani che piovono su Kagame, ricordando per esempio la tragica fine del suo ex capo dell’intelligence, Patrick Karegeya, strangolato in una camera d’albergo nel 2014, mentre era in esilio in Sudafrica.
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