Abbiamo visto entrare la lotta contro il cambiamento climatico nelle istituzioni culturali inglesi attraverso i gesti dimostrativi di giovani attivisti e attiviste: la zuppa di pomodoro sui Girasoli di Van Gogh alla National Gallery, lanciata a novembre dagli aderenti al movimento Just Stop Oil, è stato un gesto poi emulato anche da noi. Ora però sono le istituzioni culturali stesse a compiere dei gesti contro i colossi del petrolio.

L’ULTIMA è stata la Royal Opera House di Londra, che due giorni fa ha annunciato di non voler rinnovare il contratto di sponsorizzazione, scaduto a dicembre, con la BP (British Petroleum). Annunciando la scelta, il portavoce della Royal Opera House ha voluto comunque spendere una buona parola per lo storico partner: «Ringraziamo BP per il loro sostegno finanziario di 33 anni che ha permesso a migliaia di persone in tutto il Paese di assistere gratuitamente a balletti e opere». Insomma, non è ancora il momento di critiche o aperte prese di posizione.
La fine della partnership tra la Royal Opera House e la BP arriva dopo analoghe decisioni nei confronti del colosso da parte di altre numerose istituzioni culturali inglesi. Lo Scottish Ballet, la Royal Shakespeare Company, la National Portrait Gallery. Mentre il British Film Institute, il National Theatre, la National Gallery e il Southbank Centre che si sono affrancati dal sostegno della Shell. In controtendenza il British Museum, che ha affermato di non poter fare a meno, da un punto di vista economico, della sponsorizzazione di BP.
Resta comunque il fatto che, anche come conseguenza delle pressioni degli attivisti, le istituzioni artistiche inglesi hanno lanciato il chiaro segnale di non voler essere più legate ai giganti del petrolio. E se l’arte è anche sempre politica, si tratta di una tendenza importante.