Rohani in Europa: prima tappa ieri in Svizzera, oggi sarà a Vienna
Iran Il presidente iraniano impegnato in un tour per salvare l'accordo sul nucleare, mentre le sanzioni continuano a mordere e le proteste in casa aumentano. «Con meno relazioni commerciali Ue, Teheran si sposterà nell’area d’influenza economica cinese», spiega al manifesto l'analista Clément Therme
Iran Il presidente iraniano impegnato in un tour per salvare l'accordo sul nucleare, mentre le sanzioni continuano a mordere e le proteste in casa aumentano. «Con meno relazioni commerciali Ue, Teheran si sposterà nell’area d’influenza economica cinese», spiega al manifesto l'analista Clément Therme
Il presidente iraniano Hassan Rohani è arrivato ieri in Svizzera per mettere una pezza all’accordo nucleare negoziato in territorio elvetico nel 2015 e firmato a Vienna con i cinque più uno, ovvero con i membri permanenti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite più la Germania.
Intanto, corre voce che a Teheran si stia formando un governo militare, ma che il leader supremo Khamenei sia contrario ad anticipare la fine del secondo mandato di Rohani: come nel caso del presidente ultraconservatore Mahmud Ahmadinejad, l’obiettivo è salvare la forma, poi si vedrà.
La prima tappa del tour europeo di Rohani è Zurigo, dove ieri pomeriggio è stato ricevuto dal presidente della Confederazione Alain Berset con gli onori militari. In serata, a Berna, hanno discusso a lungo, mentre il capo della diplomazia iraniana Javad Zarif si è intrattenuto con il suo omologo svizzero Ignatio Cassis. Incontri da non sottovalutare perché, in assenza di rapporti bilaterali tra Teheran e Washington, sono gli svizzeri a fare gli interessi americani in Iran.
Al di là di un incontro organizzato dalla Camera di commercio svizzero-iraniana, la delegazione di Teheran non è però stata invitata in un’impresa né in un politecnico o altra istituzione accademica. Se nel 2016 una delegazione svizzera guidata dal consigliere federale Johann Schneider-Ammann si era recata in Iran, dopo la decisione dell’amministrazione Trump di tirarsi fuori dall’accordo nucleare gli svizzeri pensano ai loro interessi e non vogliono rischiare sanzioni americane.
Per questo Caran d’Ache e altre imprese che vendono termometri di precisione e materassi di alta qualità si stanno velocemente ritirando dal mercato iraniano. Dal canto loro, i banchieri svizzeri non hanno mai rischiato, perché di certo non possono rinunciare alle transazioni in dollari. E quei pochi che osavano, come la Banque de Commerce et de Placement, fanno marcia indietro.
Anche se sottotono per il business, passare da Zurigo ha una valenza simbolica per Rohani. Per Clément Therme, ricercatore all’International Institute for Strategic Studies di Londra, «la Svizzera è un paese neutrale, non coinvolto in questa nuova conflittualità tra Teheran e Washington che mette i paesi europei in una situazione scomoda perché devono diminuire le relazioni commerciali con l’Iran. Questo porterà a uno spostamento della Repubblica islamica nell’area di influenza economica cinese. Al tempo stesso, la Russia aumenterà il proprio potere su Teheran, in particolare nei settori dell’energia, del nucleare e degli armamenti».
Dopo la Svizzera, la delegazione di Rohani si recherà a Vienna. La situazione è paradossale, continua Therme: «Da una parte i conservatori vorrebbero impedire l’apertura all’Occidente per motivi culturali, ma se l’Occidente prende le distanze dall’Iran allora la Repubblica islamica non diventa più indipendente dal punto di vista economico e della politica estera, ma finisce inevitabilmente tra le braccia di Cina e Russia».
Per il ricercatore, l’Iran è un paese di contraddizioni: «Se da una parte perde consenso sul fronte interno, dall’altra Israele e l’Arabia Saudita lo percepiscono come una potenza regionale con mire egemoniche». Ed è un paese diviso: «Da una parte c’è uno zoccolo duro di consenso verso l’ideologia khomeinista, dall’altra ci sono coloro che aspirano a maggiori libertà ma hanno paura del caos e della possibile disintegrazione del paese come in Siria. A cambiare la strategia internazionale delle élite politico-religiose dell’Iran potrebbe essere soltanto la contestazione popolare».
La crisi economica si fa sentire sempre più in Iran, perché le imprese che hanno finora tratto maggior beneficio dall’apertura economica voluta da Rohani sono state quelle statali e parastatali, non le piccole e medie imprese private.
Dopo le proteste di fine 2017 e inizio 2018, ora «il regime è consapevole di essere diventato impopolare anche nelle campagne e nelle cittadine. Malgrado questa contestazione sempre più aperta e visibile nello spazio pubblico, la forza della Repubblica islamica risiede nella paura del caos, nel monopolio dell’uso della forza e nella capacità di distribuire i petrodollari in maniera clientelare».
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