Internazionale

Rohani cavalca la febbre, gli ayatollah preoccupati

Rohani cavalca la febbre, gli ayatollah preoccupatiLa foto mandata via twitter dal presidente iraniano Rohani

Iran Il pareggio con la Nigeria (0-0) accende gli entusiasmi

Pubblicato più di 10 anni faEdizione del 18 giugno 2014

A Tehran è febbre mondiale, dopo l’esordio contro la Nigeria e in vista della partita di sabato con l’Argentina. Il primo a cavalcare la mania che ora circola nelle città iraniane per il team e-Melli (la nazionale di calcio in persiano), è stato proprio il presidente moderato Hassan Rohani. Si è svestito di mantello e turbante ed è apparso in abiti sportivi, in casa, di fronte allo schermo televisivo intento a guardare Iran-Nigeria, finita 0-0. La foto è stata ritwittata migliaia di volte, insieme al messaggio di Rohani: «La gioventù è la nostra risorsa più importante». Poco più di uno slogan per conquistare gli iraniani nonostante, dopo un anno al governo, i moderati fatichino a passare dalle parole ai fatti e perdano di giorno in giorno seguito elettorale.

È la quarta volta che la nazionale iraniana si qualifica ai mondiali (1978-1998-2006). Prima di sbarcare in Brasile, ha vinto uno dei due gironi finali di qualificazione della confederazione asiatica. Tra calcio e politica, la Repubblica islamica ha sempre costruito il consenso attraverso le pratiche sportive tra le palestre di arti marziali e gli stadi di calcio, rigorosamente per soli uomini (sebbene Rohani abbia promesso una revisione della norma che impedisce alle donne di recarsi negli stadi, come al tempo dei riformisti). E così dal 1979, anno della Rivoluzione ad oggi, elezioni e proteste sono legate a doppio filo con il tifo calcistico. Caroselli e festeggiamenti hanno fatto seguito alla qualificazione ai mondiali del 2014, dopo la vittoria di Rohani nel giugno scorso. Lo stesso è avvenuto nel 1998, dopo il successo con l’Australia, che garantì a Tehran la qualificazione ai mondiali nei primi mesi della presidenza del riformista Mohammed Khatami. I festeggiamenti furono incontenibili, con donne che lasciarono scivolare via i loro veli o che danzavano sui tetti delle loro Toyota.

Alla fine del 2001 la vittoria dell’Iran sull’Iraq vide il ritorno di festeggiamenti sfrenati a Tehran, ma la sconfitta successiva con l’Irlanda (secondo alcuni innescata dal clero conservatore per evitare ulteriori assembramenti) non permise la qualificazione del team e-Melli. Grandi festeggiamenti ci furono di nuovo nel 2005, quando, mentre il radicale Ahmadinejad sfidava il tecnocrate Rafsanjani, migliaia di iraniani scesero in strada dopo la vittoria calcistica contro il Bahrain, per la qualificazione ai mondiali tedeschi. Nel 2009, il movimento verde che denunciava i brogli elettorali per la seconda elezione di Ahmadinejad, trovò sostegno nel match Sud Corea-Iran a Seul. Sei giocatori si presentarono sul campo da gioco indossando fasce verdi. Eppure anche il tifo è un fatto privato. Lo scorso lunedì, la polizia ha impedito che venissero montati schermi giganti nei centri urbani. Ogni assembramento ha il sapore della sedizione in Iran e nessuno osa immaginare lo sguardo degli ayatollah conservatori quando la televisione brasiliana, ha mostrato giovani tifose in abiti succinti, in un paese dove è vietato alle attrici apparire truccate nei poster cinematografici.

Nonostante ciò, cresce in Iran il mito dell’allenatore della nazionale il portoghese Carlos Quiroz (ex di Sporting Lisbona e Real Madrid). La stampa locale non fa che brandire la sua immagine come un’icona. Il difensore Khosro Heydari ha assicurato che il merito di ogni vittoria sta in Quiroz, mentre, il centrocampista Mehrdad Beitashour è sicuro che l’Iran surclasserà la Bosnia Erzegovina, finendo il suo girone dietro l’Argentina. La nazionale iraniana non è una meteora ma una realtà calcistica. Nelle ultime cinque edizioni della Coppa d’Asia, ha sempre superato i quarti e in due occasioni è arrivata terza: nel 1996 e nel 2004. Molti dei titolari giocano o hanno giocato in squadre europee: fra questi, il capitano e centrocampista centrale Javad Nekounam, 33 anni. Ma a spiccare per originalità è l’attaccante Reza Ghoochannejhad, 26 anni, giocatore della serie B inglese, violinista e danzatore sufi. Ashkan Dejagah, ala destra, irano-tedesco, tatuato dappertutto ha rifiutato di giocare contro Israele nella sua squadra berlinese. Infine Beitashour, 27 anni, giocatore nato in California da genitori iraniani, e chiamato in nazionale nonostante le tese relazioni tra Washington e Tehran.

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