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Rodrigo Elgueta, il Cile della Unidad Popular, a fumetti

Rodrigo Elgueta, il Cile della Unidad Popular, a fumettiRodrigo Elgueta da «Gli anni di Allende», edito da Edicola Ediciones

Graphic Il disegnatore racconta il fumetto «Gli anni di Allende», sceneggiato da Carlos Reyes e pubblicato in Italia da Edicola Ediciones

Pubblicato circa un anno faEdizione del 14 ottobre 2023

I protagonisti della letteratura spagnola e latinoamericana si danno appuntamento al festival Dall’altra parte del mare di Alghero, che li vede coinvolti in attività che vanno dalle presentazioni di libri alle letture poetiche, dagli interventi nei licei alla formazione per gli insegnanti. Durante l’edizione appena conclusa si è celebrato un focus sui cinquanta anni del golpe di Pinochet in Cile e abbiamo avuto occasione di conversare con Rodrigo Elgueta, disegnatore del fumetto Gli anni di Allende, sceneggiato da Carlos Reyes e pubblicato in Italia da Edicola Ediciones. Il tour europeo di Elgueta ha toccato molte città e si è chiuso lo scorso sabato al Bookpride di Genova con la presentazione dell’ultimo lavoro della coppia di fumettisti, Noi, i Selk’nam (2022), dedicato alla complessa storia della popolazione omonima, che rivendica la sua esistenza contro la barbarie coloniale.

«Gli anni di Allende», uscito in Italia nel 2016, ripercorre gli anni del governo Allende, le manifestazioni e gli scontri, con una certa preveggenza rispetto al «estallido social» del 2019 e alla sua repressione, che per molti aspetti ha ricordato quella dei tempi della dittatura.
Quando nel 2012 con Carlos Reyes abbiamo iniziato a pensare a questo progetto, è stato subito chiaro che stavamo parlando anche del presente del paese; volevamo uscire in tempo per il quarantennale, ma disegnare fumetti è molto impegnativo e non ci siamo riusciti. Il progetto nasce dall’intuizione di un editore messicano che ha notato che la storia della Unidad Popular e di Salvador Allende non era stata mai raccontata in un fumetto cileno. Questo la dice lunga sul Cile, che per anni ha evitato di guardare alla propria storia, e provare a sanare le ferite. Eravamo pronti a ricevere attacchi, ma in realtà abbiamo solo raccolto gratitudine dalle persone che con questo libro hanno potuto costruire un ponte e tramandare la memoria a figli e nipoti.

In apertura alla storia citate Juan Sasturain sceneggiatore argentino, autore di «Perramus» un fumetto sulle dittature latinomericane: «Mentre gli altri fanno la storia noi facciamo i fumetti». Nel vostro lavoro i fatti narrati sono reali, ma il protagonista John Nitsch è un personaggio d’invenzione. Perché questa scelta?
Dovevamo selezionare eventi tratti da tre anni di intensa storia del paese e abbiamo scelto dieci momenti salienti. I personaggi fittizi servivano da ponte tra il lettore e i fatti; volevamo un giornalista e ci siamo chiesti di che nazionalità potesse essere, visto che in Cile ce n’erano molti presenti in quel periodo per coprire un fatto senza precedenti l’ascesa di un governo socialista democraticamente eletto. Il fatto che fosse statunitense ci permetteva entrare nell’ambasciata degli USA a Santiago, un luogo dove si tramava contro quel governo e si preparava il golpe. Le conversazioni e le domande che Nitsch si pone in quel luogo servono per calare i lettori nel contesto storico, anche quelli meno informati. Credo che i dialoghi di quelle sequenze abbiano contribuito a far sì che il libro potesse essere compreso anche in altri paesi; al momento è stato tradotto in dieci lingue. I giornalisti dovrebbero essere i guardiani della democrazia, lottare contro le fake news e farsi baluardi di verità.

Lo stesso Allende nel discorso che segue la vittoria delle elezioni sottolinea l’importanza dell’informazione, della quale denuncia la distorsione e la manipolazione: il vostro fumetto la usa e mostra, riportando i titolari dei giornali, e ha inoltre in sé caratteristiche di reportage, con riferimenti spazio temporali concreti e reali e una rappresentazione serrata e dettagliata degli eventi dove il gusto giornalistico contamina sia la parte iconica che quella verbale del testo.
Carlo ha raccolto moltissimo materiale e abbiamo approfittato anche di tutte le ricerche che uscivano in quel periodo. Rispetto al trattamento, mi era stato proposto di usare il colore, ma abbiamo scelto il bianco e nero, perché i ricordi di quei giorni sono spesso basati sui filmati, sulle foto del tempo. Ho lavorato con la tecnica de la gouache per poter rappresentare con un colpo di pennello le masse in movimento senza prescindere dai dettagli. Del resto mi piaceva l’effetto di vedere il periodo compreso tra il ‘70 e il ‘73 simile a un’eterna giornata nuvolosa. Per anni, prima dell’avvento di Internet, ho raccolto ritagli e immagini in cartelline specifiche, ma per il nostro lavoro è stato fondamentale il documentario di Patricio Guzmán, La batalla de Chile, alla quale si ispirano molte vignette.

Sono presenti anche molti riferimenti alle arti: «la peña de los Parra», dove Isabel e Ángel Parra si esibiscono, i manifesti di Mono González, muralista de la Brigada Ramona Parra. Questa precisione filologica implica la convinzione che l’arte sia importante in momenti storici così fondamentali?
Certo, e risponde alla volontà di mostrare com’era l’ambiente culturale durante il governo di Allende nel quale questi artisti lavoravano di pari passo ai processi politici. Per questo abbiamo voluto mostrare anche gli spazi e le attività della editoriale Quimantù- in lingua mapuche il sole della conoscenza- ancora oggi modello per molte imprese editoriali latinoamericane; la sua creazione fu uno sforzo da parte del governo di Allende affinché tutti potessero leggere, visto che le edizioni erano tascabili, economiche, si potevano trasportare ovunque. Non abbiamo invece incluso il murale realizzato da Roberto Matta e intitolato El primer gol de Chile (titolo riferito al trionfo elettorale di Allende) che Pinochet ha fatto ricoprire da una mano di calce dopo il golpe, senza considerare però che il tempo l’avrebbe fatto riemergere. Infatti adesso si può ammirare a Santiago. Nella politica di Allende la cultura e il sapere erano strumenti per costruire una società più giusta, anche per questo mi sento tanto privilegiato per aver potuto raccontare la storia con questo fumetto.

La parola rivoluzione è centrale nel vostro lavoro: nella già citata ambasciata statunitense John Nitsch viene messo in guardia sui rischi della vittoria di Allende, mentre in altri contesti-come tra le fila del MIR- la politica di Allende sembra quasi moderata. Ma rivoluzionaria è anche la riforma agraria, la nazionalizzazione dell’industria del rame, l’indulto i latitanti del MIR. Come avete rappresentato la complessità storica di questo concetto?
In questi ultimi mesi il governo statunitense ha declassificato documenti relativi alla nostra storia, dai quali è emerso che già nel 1964 la CIA aveva uffici centrali i cui agenti erano attivi in Cile e monitoravano esattamente quelle riforme agrarie e industriali che avrebbero creato dei cambi fondamentali e che avrebbero avuto ripercussioni pericolose per il resto dell’America.
Un altro dato importante che stavano monitorando- oggi facilmente reperibile su internet- è l crescita progressiva del consenso per Allende: Nixon e Kissinger più che essere ostili ad Allende, sapevano che se avesse trionfato, il socialismo democratico si sarebbe diffuso pericolosamente in Latino America e in Europa. Da qui la preoccupazione degli Stati Uniti così forte anche di fronte a una rivoluzione alla cilena, democratica e pacifica; come disse il presidente, «una revolución con sabor a empanadas y vino tinto».

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