Visioni

«Rodeo», western in moto nelle periferie di Francia

«Rodeo», western in moto nelle periferie di FranciaUna scena da "Rodeo"

Al cinema L'esordio di Lola Quivoron, la giovane Julia corre spericolata sulle due ruote insieme alla sua comunità, fiera e fragile allo stesso tempo

Pubblicato più di un anno faEdizione del 6 luglio 2023

Rodeo è uno di quei film che già dal titolo dovrebbe aprire immediatamente a uno scenario ben definito. Vallate, deserti, ranch, competizione tra cowboy che cercano di domare cavalli e altri animali che, poco tempo prima, si sentivano liberi di correre e scalciare senza redini lungo paesaggi sconfinati. Lola Quivoron, la trentaquattrenne regista francese che lo scorso anno ha presentato questa opera prima così evocativa a Cannes (Un Certain Regard), in effetti ha preso a prestito alcuni dei temi del western e, appunto, dei rodei, per trapiantarli però nella Francia contemporanea, in una di quelle periferie che oggi sono incendiate da rivolte che tutti osservano tra speranze e paure, voglie di riscatto e apprensioni per le sorti di migliaia di persone.
In Rodeo, i cavalli sono sostituiti dalle motociclette, la terra polverosa è soppiantata dal catrame, i centauri prendono il posto dei cavalieri. In più, il film è pervaso da una rabbia che, tuttavia, non sembra prevedere un epilogo come accadeva nei western dove tutto si consumava nei duelli, nel sopraffare il più debole o nello sbarazzarsi del più forte. Dominio e vendetta, prigionia e libertà, catene ed emancipazione. I pistoleri di un tempo si muovevano dialetticamente tra opposti e prendevano una decisione con sguardo fermo.

JULIA e i suoi compagni/avversari, amici/nemici, corrono con le loro moto per le strade fieri e, al tempo stesso, fragili, vivono di espedienti, sono ostili e avvertono ostilità, ma non impugnano una Smith & Wesson per regolare i conti con il mondo. Si radunano clandestinamente e sfrecciano per le strade. È una comunità di maschi nella quale irrompe in modo selvaggio la protagonista, tutt’altro che disposta a sedersi di dietro, a interpretare il ruolo della passeggera inerte, della comprimaria, del trofeo. Lei, Julia, ruba motociclette a borghesi allocchi ai quali mostra il dito medio immediatamente dopo il furto, e poi si lascia andare all’adrenalina della velocità, al brivido di un equilibrio sempre precario, su due o una ruota, alla sfacciataggine di chi non è interessato alle regole scritte da altri. Più ribelle che rivoluzionaria.

INSERIRE questo film nella realtà quotidiana potrebbe risultare una forzatura, anche se può fornire degli spunti per una lettura. Rodeo è maturato dopo tanti anni di lavoro sul campo, quasi una ricerca antropologica, iniziata nel 2015 con il cortometraggio Au Loin, Baltimore, quando la regista studiava alla Fémis e filmò altri rodei con le moto. Che esca in Italia ora, è una di quelle coincidenze che spesso accadono alle opere cinematografiche che intercettano la vita e che la rielaborano per raccontare le mille forme di un’umanità in lotta, tra vittorie e sconfitte.

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