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Robert Zhao, trascinati dalla forza ostinata delle foreste secondarie

Da «Seeing Forest», 2023Da «Seeing Forest», 2023 – Courtesy of Robert Zhao

Biennale arte / Padiglione Singapore L'archivio dell'artista che conserva l’ecosistema dell’isola, a dispetto delle distruzioni umane e urbane

Pubblicato 7 mesi faEdizione del 13 aprile 2024

Robert Zhao ha delineato nel corso degli anni una cartografia personale di Singapore. Ha realizzato opere di finzione come The Land Archive, Singapore 1925 – 2025, A Guide to the Flora and Fauna of the World, The Institute of Critical Zoologists e dal 2007 indaga l’ecosistema dell’isola con una particolare attenzione alle foreste secondarie.

The Land Archive, Singapore 1925 – 2025 è l’agenzia fittizia che Zhao ha creato per catalogare i cambiamenti avvenuti nel paesaggio naturale e urbano di Singapore. L’archivio, che ha assunto anche la forma di un libro, raccoglie mappe, fotografie e testi riguardanti la bonifica dei terreni, i confini nazionali, l’inquinamento, la conservazione e lo skyline dell’isola tropicale.

A Guide to the Flora and Fauna of the World sembra un catalogo scientifico, raccoglie invece la documentazione di animali e piante geneticamente manipolati dall’uomo. Dal 2007 osserva le foreste secondarie, ecosistemi che si rigenerano su terreni deforestati a causa dell’intervento umano e/o dallo sviluppo urbano. Tra le sue mostre personali ricordiamo la recente Monuments in the Forest presentata a Shanghart Gallery a Shanghai, ed alcuni tra le sue numerose partecipazioni internazionali, tra cui la 10/a Busan Biennale (2020), la 11/a Taipei Biennale (2018), e la seconda Biennale di Yinchuan (2018), per ricordarne solo alcune. Con il progetto Seeing Forest Zhao rappresenterà il Padiglione di Singapore.

La crew, still dal film “Seing Forest”, courtesy Robert Zhao

Amilcar Cabral ha affermato che «Il terreno è un corpo che ha un proprio linguaggio, che può non parlare ma che può essere letto». Potrebbe illustrarci il suo progetto «Seeing Forest»?
Nel 2017 ero in residenza al Ntu Center for Contemporary Art di Singapore, il mio studio si trovava a Gillman Barracks, l’ex quartiere militare inglese costruito nel 1936, durante l’era coloniale, da 50 anni trasformato in un cluster di gallerie d’arte, ristoranti e musei. C’è un pezzo di foresta secondaria proprio dietro allo studio in cui lavoravo, rigeneratasi da terreni rimossi della foresta originaria. Esplorando la zona ho notato un ruscello che aveva eroso un vecchio canale di scolo di cemento e una tenda in cui aveva abitato qualcuno. Incuriosito ho posizionato trappole fotografiche, fotocamere dotate di un sensore che si attiva con il movimento, per vedere cosa succedeva quando non ero li. Ho raccolto questi video per diversi anni.
Con la pandemia del Covid-19, non potendo uscire, ho fotografato e filmato la foresta secondaria dalla finestra dalla mia casa, al 23esimo piano. Ho continuato a posizionare trappole fotografiche nella foresta e ho documentato la sua graduale scomparsa man mano che veniva distrutta per far posto a un nuovo deposito di autobus. Seeing Forest è composto da una videoinstallazione e da alcune opere scultoree riguardanti l’ecosistema delle foreste secondarie, spazi di transizione che suggeriscono riflessioni sulla colonizzazione, le migrazioni, la sostenibilità. Vorrei mostrare la resilienza della natura, la sua forza e il senso di meraviglia e mistero che ho provato io osservandola.

«Seeing Forest » fa pensare al film «Stalker »di Andrei Tarkovskij, dove due uomini entrano nella «zona», uno spazio liminale in cui scoprono una dimensione altra della realtà. Si è mai sentito uno stalker nel corso della sua ricerca?
Mi ha colpito molto scoprire il modo in cui le foreste secondarie mantengono tracce del proprio passato organico anche se vengono usurpate con interventi urbani. Apprezzo la loro generosa capacità di accogliere specie vegetali invasive.
Le foreste secondarie sono meno considerate rispetto a quelle primarie, che sono più vecchie, e a quelle vergini, che non sono state mai toccate dalle attività umane. Questa suddivisione è superficiale perché le foreste secondarie hanno molto da insegnarci sulla resilienza e la rigenerazione. Quello che voglio indicare è che esiste un’intelligenza o agency indipendente dalla volontà umana, che dovremmo imparare a rispettare e non distruggere. Un esempio: per diversi anni sono andato nella zona di Choa Chu Kang a Singapore per documentare la presenza di centinaia di pappagalli appollaiati su due alberi di fronte a un complesso residenziale, che disturba gli abitanti. Per allontanarli le autorità hanno tagliato tutti i rami, in modo tale che gli alberi sembrino morti o malati, eppure i pappagalli tornano ogni sera. Mi chiedo, perché quei due alberi? I pappagalli sanno forse qualcosa che noi non conosciamo di quel luogo?

Con «Seeing Forest» compie un’indagine più realistica rispetto ad altri progetti precedenti, per quale motivo ha scelto di abbandonare la finzione?
In realtà mi sono servito della finzione per riflettere sulla realtà. The Land Archive ad esempio, è stato un modo per confrontarsi con la costante preoccupazione che noi abitanti di Singapore abbiamo del suo rapido sviluppo. Possediamo poche testimonianze del passato del paese e questo crea una sensazione di sradicamento e non appartenenza. Negli anni ’60 a Singapore vi erano diverse colline che sono stati bonificate. Oggi l’isola è praticamente piatta e il governo deve acquistare sabbia da altri Paesi. Quelle scorte di sabbia e ghiaia creano colline artificiali e un nuovo ecosistema desertico. È un’immagine straniante che potrebbe essere parte di The Land Archive ma non è finzione, è realtà. Penso che se non possiamo aggrapparci al passato, dovremmo comunque fare qualcosa, essere propositivi guardando al presente e al futuro. Proprio come ci suggeriscono le foreste secondarie.

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