Visioni

Biennale musica, tra percussioni e note fuori dagli schemi

Biennale musica, tra percussioni e note fuori dagli schemiPeter Evans – Courtesy La Biennale di Venezia /foto di Andrea Avezzù

Eventi Lucia Ronchetti conclude il suo mandato alla direzione artistica. Ora il rischio di una successione mediocre

Pubblicato circa 8 ore faEdizione del 15 ottobre 2024

Troppe per poterle citare tutte, lungo l’arco di quindici giorni (un record per il festival), le proposte da tenere presenti – oltre a quelle di cui abbiamo già riferito – in un consuntivo della 68esima edizione della Biennale Musica. Tre importanti prime assolute – commissionate o co-commissionate dalla Biennale – di compositori italiani di tre diverse generazioni, Salvatore Sciarrino, Luca Francesconi, Marco Momi, accompagnate, negli appuntamenti mattutini all’Archivio Storico della Biennale, da incontri con gli autori. Brani per pianoforte di George Benjamin e Unsuk Chin con Bertrand Chamayou, e di Mihari Ogura e Alberto Posadas con Chisato Taniguchi; per violino e pianoforte – rispettivamente Patricia Kopatchinskaja e Markus Hinterhäuser – di Galina Ustvolskaya (1919-2006, allieva di Shostakovic); per quartetto d’archi della compianta Kaija Saariaho (Leone d’Oro nel 2021) col Quatuor Béla, e di Zuraj, Iannotta, Haas col Kandinsky Quartet; brani vocali di Pärt, Ratniece e Januyté con l’Ensemble Sequenza 9.3.

PRESENTATA assieme a Laminar Flow, prima italiana di Zeno Baldi, Orchestra of Black Butterflies per due pianoforti e due percussioni, co-commissione della Biennale, prima assoluta della giovane e quotata compositrice svedese Lisa Streich (1985) ha meritato il premio per la migliore composizione assegnato dalla Giuria degli studenti (under 25) dei Conservatori italiani, che ha invece giudicato quella del newyorkese Attacca Quartet (ne abbiamo parlato) la migliore performance. Fuori dagli schemi il solo di pianoforte dell’afroamericano Tyshawn Sorey; folgorante il solo di improvvisazione, davvero radicale, del trombettista newyorkese Peter Evans. Senza dimenticare le tre serate di elettronica a Forte Marghera (Mestre), rivolte principalmente ad un target giovanile. Forte la presenza delle percussioni: il Christian Benning Percussion Group ha presentato Roaïkron, una novità, su commissione della Biennale, del palestinese di cittadinanza israeliana Samir Odeh-Tamimi (1970), che ha degnamente preceduto il trascinante, entusiasmante Tutuguri VI (Kreuze), parte finale di un’opera monstre del 1981 ispirata ad Artaud di Wolfgang Rihm, da poco scomparso.

Christian Benning group, il talento di Peter Evans, le prime di Salvatore Sciarrino, Luca Francesconi, Marco Momi. Il pianoforte di Tyshawn Sorey

ESECUZIONE con i sei percussionisti ciascuno su una piattaforma, a ovale intorno al pubblico: stessa disposizione ma altro ensemble per Le Noir de l’Étoile di Gerard Grisey, del 1989-90. Una importante innovazione di questa edizione è stata l’abolizione di appuntamenti separati per le composizioni e gli esecutori della Biennale College; per fare solo due esempi, nell’ensemble che ha interpretato l’impegnativo pezzo di Grisey c’era Alexandra Nawrocka, polacca, ventiquattrenne, formata dal College; che poi in un’altra serata era fra i tre esecutori di Sonic Ritual per tre percussionisti, una novità assoluta di Alice Hoi-Ching Yeung: di Hong Kong, venticinquenne, anche lei uscita dalla Biennale College, si è trovata ad avere il proprio – notevole – pezzo eseguito prima di Skull di Rebecca Saunders, cioè il Leone d’Oro di quest’anno. Chiusura, giovedì 10, alla Basilica di San Marco, protagonisti i coristi della Cappella Marciana in un severo Stabat della Streich e in due Stabat Mater cinquecenteschi di Giovanni Croce e di Giovanni Pierluigi da Palestrina: così l’ultima serata dei quattro anni di mandato della direzione artistica di Lucia Ronchetti, prima donna ad avere avuto questo incarico, si è svolta dove proprio questa direzione negli anni scorsi aveva riportato, dopo decenni di assenza, la Biennale Musica.

UN RISULTATO anche simbolicamente molto importante, all’interno di un impegno di Ronchetti che, reagendo ad un certo appannamento di lunga data, ha offerto un grosso contributo alla manifestazione, lavorando sulla qualità delle proposte, a vari livelli sui giovani, sul rapporto con la città, e le ha restituito prestigio e appeal (si pensi all’edizione 2023 sull’elettronica). Adesso? C’è da augurarsi che questo lavoro non venga buttato via dalla attuale presidenza della Biennale con una soluzione mediocre per ragioni di affinità o compatibilità politiche o con una scelta ad effetto ma inadeguata o inadatta, come il precedente della Biennale Teatro può far temere.

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