Si è declamato a meno di 24 ore dalla chiusura delle urne il risultato di quella che è stata descritta come «un’elezione storica» per il Senegal. Il trionfo di Bassirou Diomaye Faye, alter-ego ed estensione di Ousmane Sonko, principale oppositore dell’attuale governo, già da domenica sera festeggiato dai suoi sostenitori nelle strade di Dakar, è stato confermato da Amadou Ba, suo principale rivale e delfino di Macky Sall, presidente uscente, che si è congratulato per la vittoria conseguita. Diomaye Faye, classe 1980, ex segretario del dissolto Pastef (Patrioti africani del Senegal per il lavoro, l’etica e la fraternità) ed ex ispettore fiscale, diventa così il quinto presidente del Senegal, vincendo al primo turno con (pare) oltre il 56% dei voti.

QUESTO dopo un susseguirsi di colpi di scena precedenti alle elezioni, dal tentativo di Sall di posticipare il voto inizialmente previsto il 25 febbraio, da molti analisti letto come un tentato golpe istituzionale, alla marcia indietro imposta dalla Corte costituzionale. Faye e Sonko peraltro fino a dieci giorni fa si trovavano agli arresti e sono tornati in libertà solo per effetto di un’amnistia. Si vociferava da tempo che con il pieno supporto della gioventù senegalese  avrebbero stravinto. Ed è quello che è successo, grazie all’alta affluenza di domenica. Un esito che rimarca l’eccezionalità del Senegal come baluardo democratico della regione ovest-africana.

Ma cosa propongono Faye e Sonko? Come spiega il professore Oumar Dia, membro della Commissione insegnamento superiore e ricerca del Movimento nazionale di dirigenti del Pastef, gioendo della «ritrovata libertà e dignità grazie alla rivoluzione nelle urne», Faye è stato eletto sul principio di rottura con il passato, con un programma che si definisce alla volta sovranista, progressista e panafricano. Il Pastef propone riforme radicali per smantellare uno Stato «patrimoniale, predatore e neocoloniale». Si propone invece di ritrovare «una rinnovata indipendenza, al servizio della maggioranza dei senegalesi, costituita perlopiù da persone vulnerabili».

Il voto di Bassirou Diomaye Faye, vincitore delle elezioni (Ap)

I cambiamenti includerebbero la riforma del franco CFA, da sostituire con una moneta nazionale o regionale «volta al servizio del settore primario e secondario» (leggi industrializzazione) e «non più del terziario» (leggi aziende straniere); la rinegoziazione dei contratti sullo sfruttamento delle materie prime (ittiche, aurifere, idrocarburi) a beneficio della popolazione, sviluppando la loro trasformazione in loco per un’economia endogena; ri-bilanciamento dei rapporti con i principali partner stranieri, Francia in primis, abolendo ogni «subordinazione».

PROPOSITI che sembrano flirtare con la radicale presa di posizione di alcuni stati vicini, come il Mali, Burkina Faso e Niger. Ma le differenze sono profonde. In primo luogo, il Pastef, di natura radicalmente diversa dalle giunte militari saheliane, si propone, a detta di Dia, di dialogare con la nuova Alleanza degli Stati del Sahel per promuovere la democrazia e per la loro re-integrazione nell’Ecowas, l’organismo regionale. Allo stesso modo, come sottolinea Gilles Yabi, a capo del think tank Wathi, sull’uscita dal franco CFA Sonko e Faye hanno già attenuato i toni, dichiarandosi favorevoli al prosieguo delle discussioni sulla valuta comune “eco” a livello di Ecowas,o all’attuale livello Uemoa (Unione economica e monetaria ovest-africana), escludendo però la presenza della Francia. Inoltre, una volta al potere, saranno soggetti a vincoli interni, come quelli dei vari gruppi di interesse, e a vincoli esterni, ovvero gli impegni del Senegal nei confronti dei suoi donatori, che dovranno continuare ad essere rimborsati, sostiene Yabi.

Secondo Dia la grande differenza del Pastef è quella di essere un partito antisistema, e che l’errore più grande sarebbe quello di normalizzarsi una volta al governo. Tuttavia, osserva Yabi, Faye ha vinto anche grazie ad altre personalità politiche esterne al Pastef; bisognerà dunque attendere la formazione del governo per capire il suo grado di apertura, grazie alla presenza o meno di personaggi più moderati e con più esperienza – quest’ultima essendo «il punto debole del tandem Faye-Sonko».

IN TAL SENSO ci si può chiedere come si comporterà Faye una volta al potere: se continuerà a presentarsi come «uomo al servizio di un programma», o se aprirà la questione della posizione che ricoprirà il suo mentore Sonko. Come spiega Dia, il Pastef propone anche una decentralizzazione del sistema e un depotenziamento dell’iperpresidenzialismo, in vista, fra l’altro, dell’introduzione della carica da vicepresidente per le elezioni del 2029. Cosa ne sarà di Sonko e del Senegal nel frattempo?

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