Rivelazioni Lava Jato, parte la controffensiva
Brasile In manette, invece del ministro Moro, finiscono quattro persone accusate di hackeraggio. Sotto tiro il sito «The Intercept», che ha svelato le trame dei giudici contro Lula
Brasile In manette, invece del ministro Moro, finiscono quattro persone accusate di hackeraggio. Sotto tiro il sito «The Intercept», che ha svelato le trame dei giudici contro Lula
L’attesa controffensiva del governo Bolsonaro nei riguardi del sito The Intercept – colpevole di aver messo in luce la reale natura dell’operazione Lava Jato – è partita. E vi sono pochi dubbi su come finirà. Perché l’arresto da parte della polizia federale, martedì scorso, di quattro persone sospettate di aver hackerato i cellulari di Sérgio Moro e dei procuratori della Lava Jato è stato solo il primo atto di una trappola accuratamente predisposta contro Glenn Greenwald e i suoi collaboratori.
LO AVEVA CHIARITO BENE già la deputata bolsonarista Carla Zambelli, convinta che i quattro arrestati non ci avrebbero pensato un secondo, in cambio del rilascio o di un futuro sconto di pena, a rivelare «il mandante del crimine». Aggiungendo un sarcastico «tic-tac, tic-tac» indirizzato al co-fondatore di Intercept.
Ma a cogliere esattamente il senso dell’operazione era stato anche il sito di estrema destra O Antagonista, prodigo di rassicurazioni verso il governo: la libertà di stampa, aveva evidenziato, risulterebbe violata solo in caso di arresto dei giornalisti che hanno divulgato i contenuti rubati, «a meno, è chiaro, che non abbiano partecipato attivamente all’hackeraggio». E aveva aggiunto: «Di fronte al profilo degli arrestati – nessuno riconducibile a una militanza politica di sinistra – è lecito interrogarsi se qualcuno li abbia pagati». Tanto più che i quattro, come ha reso noto il giudice Vallisney de Souza Oliveira che ne ha ordinato l’arresto, presenterebbero «redditi incompatibili con il loro giro di affari».
NIENTE DI PIÙ SCONTATO allora che uno di loro, Walter Delgatti Neto – il presunto leader della cosiddetta «organizzazione criminosa dedita a reati cibernetici», già condannato per ricettazione, falsificazione di documenti e porto d’arma illegale -, abbia subito “confessato”, senza fornire prove, di aver hackerato i cellulari di Moro e dei procuratori della Lava Jato e di aver passato il materiale a Intercept.
E con ciò, indipendentemente dalla sorte di Greenwald e del suo team, un obiettivo importante è stato raggiunto: quello di distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica dai dirompenti contenuti divulgati a partire dal 9 giugno relativamente al complotto giudiziario per escludere Lula dal processo elettorale e, più in generale, a un’applicazione estremamente selettiva della giustizia.
QUANTO A MORO, non ha esitato a congratularsi con la polizia federale, che da lui dipende, per l’indagine sul gruppo dei presunti hacker, subito definiti, senza neppure attendere la conclusione delle indagini, come la fonte delle rivelazioni del portale investigativo. Una fretta che, ha sottolineato il giornalista di Intercept Leandro Demori, è esattamente ciò che ci si poteva attendere «da chi non rispetta il sistema accusatorio e si ritiene al di sopra del bene e del male». «In un paese serio – ha concluso Demori rivolgendosi all’attuale ministro della giustizia -, l’indagato saresti tu».
A commentare la vicenda è stato anche Greenwald, ironizzando sul fatto che la polizia federale abbia impiegato così poco a scoprire quelli che avrebbero dovuto essere «hacker altamente sofisticati» mentre «nessuno riesce a trovare Queiroz», l’ex autista di Flávio Bolsonaro – sparito provvidenzialmente ormai da mesi – sul cui conto sono state riscontrate transazioni sospette per un totale di 1,28 milioni di reais tra il 2017 e il 2018 (tra cui 24mila reais a favore della moglie del presidente).
«Le azioni di Moro e Dallagnol sono uscite dai riflettori, ma non sarà per sempre», ha aggiunto Greenwald, annunciando molti nuovi reportage.
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