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Ritirata tattica dell’Iran. Per il momento

Ritirata tattica dell’Iran. Per il momentoIl presidente iraniano Pezeshkian in parlamento – Ap/Vahid Salemi

Medio Oriente Le forze riformiste guadagnano tempo e si fanno approvare il governo: da settimane sarebbe in corso un nuovo negoziato con l’Occidente. Teheran vuole approfittare del crescente isolamento globale israeliano

Pubblicato circa un mese faEdizione del 23 agosto 2024

Le parole di Ali Khamenei, leader della Repubblica Islamica, all’indomani dell’assassinio del capo politico di Hamas, Ismail Haniyeh, non lasciavano dubbi: una ritorsione contro Israele sarebbe stata certa. Sembrava che Teheran, malgrado non volesse un’ampia guerra, avrebbe raccolto la sfida israeliana e dato inizio a un ciclo di escalation di attacchi reciproci, potenzialmente sfociando in una guerra regionale a tutto campo. Ma un simile risultato avrebbe minato le speranze del nuovo presidente di negoziare con l’Occidente, che alcuni osservatori affermano essere stato probabilmente il movente principale israeliano dietro l’omicidio di Haniyeh.

A due settimane dall’attentato a Teheran, mentre gli americani inviavano la loro flotta navale nella regione e le principali cancellerie occidentali ammonivano l’Iran, invitandolo alla moderazione, il 14 agosto Khamenei ha accusato i «nemici» dell’Iran di aver condotto una «guerra psicologica» per incutere paura e ostacolare il progresso della nazione e ha esortato gli iraniani a non sopravvalutare le capacità dei loro avversari.

TUTTAVIA, in una retorica ambigua, ha lasciato spazio a una «ritirata tattica», che a molti osservatori è sembrata simile alla dichiarazione di «flessibilità eroica» fatta da Khamenei nel 2013, che aveva aperto la via ai negoziati con l’Occidente sulla questione nucleare. Il discorso sulla «ritirata tattica» mentre si insedia il nuovo governo sembra lasciare aperta la possibilità di avviare eventuali negoziati con gli Stati uniti, che secondo alcune fonti sarebbero già in corso da diverse settimane tramite mediatori.

Durante le tre settimane successive all’assassinio di Haniyeh, mentre il nuovo presidente presentava il suo governo per l’approvazione del parlamento, in Iran si è acceso il dibattito tra moderati e conservatori sull’opportunità di una risposta a Israele e sulla natura di tale risposta.

Le continue richieste di ritorsione da parte dei media conservatori e di funzionari di alto livello rendono improbabile che Teheran opti per il silenzio, mentre i riformisti invocano la moderazione e suggeriscono di rinunciare alla ritorsione per avere una leva nei futuri negoziati con gli Stati uniti, aprendo potenzialmente un nuovo capitolo nelle relazioni tra Usa e Iran e offrendo una risposta più efficace alle provocazioni di Netanyahu.

Dal punto di vista di molti analisti iraniani, il catastrofico attacco israeliano a Gaza ha portato Tel Aviv a un crescente isolamento nel Medio Oriente e nel mondo. Dopo oltre 40mila vittime, Hamas non è stato sradicato e i prigionieri nonsono stati rilasciati e, ancora più importante, neanche il popolo israeliano si sente più al sicuro. Dal disastro provocato dal governo israeliano Teheran può trarre vantaggio e fortificare la sua influenza politica nel Medio Oriente, obiettivo che la Repubblica islamica ha considerato essenziale per la sua sicurezza sin dalla sua nascita nel 1979.

Il declino dell’ordine regionale incentrato sugli Stati uniti e il loro alleato israeliano è già in atto. Mai come ora la reputazione statunitense è stata così compromessa tra le popolazioni nella regione e gli Stati arabi hanno preso così tanta distanza da Washington. Un’eventuale ritorsione può fare svanire l’opportunità che Teheran ha guadagnato senza in realtà fare nulla.

IN CASO di un eventuale cessate il fuoco a Gaza, aggiunto a un simbolico sgambetto a Netanyahu, come un attacco informatico o qualcosa di simile, il tutto per evitare di lasciargli una scusa troppo comoda per rispondere con piena forza, potrebbe essere sufficiente a Teheran per mantenere la sua egemonia sull’«Asse di Resistenza» e calmare gli animi più infiammati tra i suoi sostenitori interni.

Il fatto che il governo di Massud Pezeshkian sia riuscito a ottenere la fiducia del parlamento, dominato dai conservatori, in appena cinque giorni e con una maggioranza schiacciante, un risultato insolito in Iran, potrebbe indicare che il nucleo duro del potere abbia concordato di seguire la linea morbida e la scelta di negoziati di Pezeshkian in politica estera. Nel suo primo discorso, Seyed Abbas Araghchi, ministro degli esteri, ha affermato: «Cerchiamo di risolvere le tensioni con Washington e di ripristinare i rapporti con l’Europa, ma a condizione che abbandonino l’approccio ostile».

Per il momento sembra che Teheran abbia optato per un silenzio ambiguo per vedere il risultato dei colloqui di cessate il fuoco a Gaza. Tuttavia mantiene alta la tensione e continua a rivendicare il suo diritto di rispondere. Il rappresentante permanente dell’Iran alle Nazioni unite, Amir Saeid Iravani, ha detto: «I tempi… della risposta dell’Iran saranno meticolosamente orchestrati per garantire che avvenga nel momento di massima sorpresa».

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