Politica

«Rifletteremo». Ma la destra riapre il ring

Giorgia Meloni con Matteo Salvini e Antonio Tajani a Cagliari foto AnsaGiorgia Meloni con Matteo Salvini e Antonio Tajani a Cagliari – foto Ansa

Dopo il voto in Sardegna Con un comunicato congiunto i leader ammettono «possibili errori» su cui «ragionare». Bordate alla premier, per ora solo a salve. Sulle prossime regionali non c’è intesa. Il tavolo è rovente e lo sarà ancora di più

Pubblicato 9 mesi faEdizione del 28 febbraio 2024

La premier dà spettacolo. Incontra la stampa estera e diventa pirotecnica: «Volevo fare la cantante ma ero stonata o la giocatrice di volley ma ero bassa. Non avrei mai immaginato di arrivare dove sono e forse per questo ci rimarrò più degli altri». Ma sul tema del giorno concede poco: «Non è il giorno migliore per essere allegra ed è pure quaresima e non posso affogare i dispiaceri nell’alcol». Parliamo d’altro.
Muti nel giorno della batosta, i leader della destra ritrovano la favella nel day after. Il terzetto sforna un comunicato congiunto, ma ognuno aggiunge anche qualcosa di suo. La nota congiunta si felicita perché «dalle elezioni non emergerebbe un calo di consenso per il centrodestra». È vero, nel voto di lista la destra stravince. Questo però evidenzia ancor di più la portata degli errori commessi da Meloni. Se le liste tirano e il candidato affonda, la responsabilità è di chi quel candidato ha imposto. Lo sanno tutti ma lo dicono in pochi, a mezza bocca. I tre leader non vanno oltre la promessa di «ragionare insieme per valutare i possibili errori commessi».

NELL’ASSOLO LA PREMIER conferma ma col tono di chi recita una formula di circostanza: «Le sconfitte sono anche un’opportunità per riflettere e migliorarsi». Salvini non affonda la lama, anche perché è a sua volta sotto botta per il sospetto di aver cercato quel voto disgiunto che, pur se contenuto, è bastato ad affondare Truzzu: «Si vince e si perde insieme». Poi però una staffilata la accenna: «Certo, quando cambi candidato in corsa la cosa si complica».

A parlare chiaro sono pochissimi. Il vice del Carroccio Crippa: «I candidati non si scelgono in base ai rapporti di forza. Bisogna ascoltare i territori». Il leghista respinge l’accusa, mai esplicita, di una regia nel voto disgiunto: «È stata una scelta dei cittadini sardi». L’azzurro Mulè, anche più diretto: «Impariamo che i candidati si scelgono nella condivisione». Insomma, nel mirino, ma con proiettili per ora a salve, c’è l’elemento che tutti sanno essere all’origine della sconfitta: la tendenza della premier a imporre le sue scelte sulla base dei rapporti di forza che premiano il suo partito. Sinora le è andata bene ma il vento potrebbe iniziare a cambiare davvero. Se non fosse che la donna è fatta come è fatta, per carattere testardo e per ideologia autoritaria, e nella maggioranza nessuno ha la forza per sfidarla.

DI CERTO LE COSE non sembrano cambiate sul tavolo delle candidature per le regionali: oggi è rovente, nei prossimi mesi lo diventerà ancora di più. Nel pomeriggio era atteso un comunicato che avrebbe dovuto certificare l’accordo per le candidature nelle regionali in agenda quest’anno. Non è uscito perché non si può annunciare un accordo che non c’è. L’intesa è reale solo sul governatore uscente del Piemonte, l’azzurro Cirio. In Basilicata il plenipotenziario tricolore Donzelli sembrava aver dato il via libera a un altro uscente targato Fi, Bardi. Sarebbe stato un segnale eloquente, dal momento che se c’era una candidatura a rischio era proprio la sua: insidiata dalla Lega, che mirava a rimpiazzarlo con l’ex senatore Pepe, ma anche da FdI, che puntava su un civico. FdI sembra aver rinunciato, si vede che in fondo qualcosina la mazzata ha insegnato. La Lega no. Tutto da rifare e in serata Donzelli chiariva che non avere preclusioni non significa aver dato il via libera. In Umbria FdI non ha mai avanzato dubbi sulla leghista uscente Tesei. Forza Italia invece sì. Se ne riparla nei prossimi giorni. Intanto, il 10 marzo, c’è l’Abruzzo e lì il governatore tricolore Marsilio rischia. I sondaggi lo danno appaiato a D’Amico, sostenuto da Pd e 5S. L’incubo sardo si ripropone e l’uno-due per Meloni sarebbe micidiale.

I FUOCHI D’ARTIFICIO, però, arriveranno con le candidature dell’anno prossimo. Zaia assicura che la partita sul terzo mandato non è finita. In via della Scrofa e a palazzo Chigi però non intendono riaprire quella partita e le tensioni su Sardegna, Basilicata e Umbria, al confronto di quelle sul Veneto, sembreranno una scampagnata. Insomma, la maggioranza ha davvero molto su cui «riflettere».

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