Rubriche

Rifare e ritagliare di Renato Guttuso

Divano La rubrica settimanale a cura di Alberto Olivetti

Pubblicato più di 6 anni faEdizione del 2 febbraio 2018

Nel 1972 Renato Guttuso torna, otto anni dopo, a quella calda giornata romana del 25 agosto 1964 con I funerali di Togliatti (acrilici e collage di carte stampate su carta incollata su quattro pannelli di compensato, cm 340×440, Museo d’Arte Moderna di Bologna).

Rivede il cielo corrusco acceso nelle luci del tramonto, quando ormai tacciono gli oratori e salgono, diffuse dagli altoparlanti, di nuovo alte le musiche.

Rivede il Colosseo, cavità di inaridito gheriglio limata dal corso dei tempi.

Rivede quanti da ore stipano le balaustre dei mezzanini; o chi, ancorato con un braccio, in bilico, pende dalle inferriate dei finestroni; o quelli che stan ritti sulle impalcature, o si protendono dai balconi.

Confluisce adesso Guttuso, come allora, nel corteo che muove da via delle Botteghe Oscure e prende a scorrere adagio, ordinandosi lento nei ranghi.

Mille e mille si assiepano lungo i bordi transennati. Fanno ala attraverso i Fori, si distendono ai lati della via Cavour, sotto gli alberi della via Merulana.

Poi uomini e bandiere sboccano nella grande piazza che si estende davanti alla Basilica Lateranense. È qui che le migliaia si riversano, si mescolano, si congiungono volgendosi al palco, a quel feretro tra le corone di fiori, al podio che sembra sostenuto, lassù, dalle musiche.

Guttuso osserva il cereo profilo di Togliatti redimito di rose, di garofani, di pansè. Tra i fiori, gli è d’accosto, vivo, Antonio Gramsci. Con lui, a corona, nel primo più stretto cerchio stanno Longo e Di Vittorio, Amendola e Alicata, Pajetta e Ingrao, Jotti, Ibarruri e Berlinguer. Altri fan ressa e, con le bandiere rosse, si moltiplicano quei volti dolenti, compresi nel silenzio del lutto.

Rosse le bandiere e le rose e i garofani ritagliati dai dépliant pubblicitari dei vivai Sgaravatti, incollati a filo delle sagomette di carta che effigiano «i ritratti dei suoi compagni» (come Guttuso scrive).

Ma ritratti non sono. Sono ricalchi di fotografie assemblati. Gli elementi ‘compositivi’ – le bandiere rosse – risultano un espediente per consentire la cucitura degli orli. I volti sono tracciati in bianco, grigio e nero, come scorressero proiettati su uno schermo cinematografico.

Guttuso ha vicino Sartre, Vittorini e Eduardo. Ci sono Angela Davis, Quasimodo, Carlo Levi, Neruda e Mimise. Ti sembra ravvisare Secchia e Trombadori. Riconosci Visconti e Alcide Cervi, sette medaglie al petto. Lenin non sta fermo e lo incontri confuso tra i molti – operai, contadini, madri, giovani, studenti, fanciulle – almeno cinque volte. Un sale, un lievito Lenin che sapienza vuole sia accuratamente sparso.

Poi scorgi Stalin. E Breznev. E altri: salutano al pugno da un ponteggio, sventolano una bandiera da un terrazzo. Un addio alla maschera funebre di Togliatti, rigido calco in gesso con gli occhiali sul naso, come può capitare di vedere in sogno.

E, come in un sogno senza colori, riconosci ad uno ad uno i protagonisti delle grandi vicende del secolo. Quei rivoluzionari, quegli artisti convenuti a testimoniare cinquant’anni di lotte e mi confondo anch’io, con gli altri, al fianco di Togliatti.

Nel 1974 Guttuso realizza La Vucciria (olio su tela, cm 300×300, Complesso Monumentale dello Steri, Palermo) che è rifacimento ad olio di inquadrature fotografiche di ceste d’uova, mazzi di cardi, finocchi, pomodori, melanzane, noci, fino alle mortadelle, alle mozzarelle, alle salame, ai groviera, ai pecorini – altro banco, naturalmente.

Non manca il culo di una giovane casalinga a separare le olive dal pescato esposto a sinistra: calamari, polpi, gamberoni, naselli, orate, sugheri e quattro pesci spada e poi, ancora, saraghi, spigole, triglie a bilanciare il grande mezzo bue che vien scalcando un macellaio minuscolo, fuori scala. In alto siamo alla frutta: arance, pere, mele, limoni, mandarini, banane.

Ri-fare non vuol dire né raffigurare né rappresentare. Il ri-fare di Guttuso mette capo a ripetizioni, a repliche, a recuperi, a copie. Un aderire, uno ‘stare attaccato’ che si presenta come un raccostare, un addossare per sommatoria, per accumulo, per ammucchio.

Diresti che accozzare ritagli sia il suo vero, intimo e più autentico modulo ‘pittorico’.

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