Dinosauro non è Marx ma il capitalismo
"Il Capitale nell’antroprocene" di Saito Kohei Un volume assai utile, diretto più ai militanti che ai filosofi, una dura denuncia della quantità di fake news con cui viene nascosta la portata del cambiamento necessario
"Il Capitale nell’antroprocene" di Saito Kohei Un volume assai utile, diretto più ai militanti che ai filosofi, una dura denuncia della quantità di fake news con cui viene nascosta la portata del cambiamento necessario
Il libro Il Capitale nell’antroprocene di Saito Kohei docente dell’Università di Tokio è arrivato finalmente in Italia, edito in questo mese da Einaudi e presentato al Festival che Internazionale promuove ogni anno a Ferrara. E, per ora, su ben due pagine, anche da la Repubblica che ospita l’autore in conversazione con una taciturna Schlein, definita, in quanto segretaria del Pd, erede legittima di Karl Marx, in questa occasione resuscitato visto che ormai nessuno – fa capire il presentatore – si ricorda più neppure chi è. C’è poi anche un video di Repubblica in cui compare la citazione di Alex Langer, che anche lui (come Marx?) avrebbe detto che la questione ecologica si sarebbe imposta quando la gente avrebbe capito che garantirà la giustizia sociale. Quanto al fatto che nel libro di Kohei, quando ci si riferisce a Marx si dica che per rendere la decrescita bella, occorrerà rovesciare il capitalismo, un dettaglio non proprio indifferente, tutto si risolve usando al posto della parola capitalismo, quella innocua, di “modello di sviluppo”, le parole “capitalismo” e “rivoluzione” essendo ormai come è noto fuori legge nel democratico occidente. (Forse Piantedosi sta già preparando in proposito un decreto, visto che noi siamo un paese che fa sul serio).
Ne scrivo perché questo libro mi ha molto colpito quando ne ho scoperta l’esistenza – quasi un anno fa – prima ancora di leggerlo, perché, sfogliando casualmente il Guardian, quotidiano inglese molto importante, trovai un intero paginone a questa pubblicazione dedicato. Risultava infatti , sebbene il suo titolo non proprio simile al genere “Via col vento”, che ne erano state vendute ben 500.000 copie (il titolo originale portava in aggiunta anche: “per una decrescita comunista”) nel solo Giappone, e che l’85 % di chi le aveva comprate era al di sotto dei 35 anni.
Un simile successo è raro, e entusiasmante: a me ha dato una botta di ottimismo sulle nuove generazioni. Sicché sono andata subito a frugare in Amazon per vedere se era stato tradotto in una lingua meno esotica del giapponese e infatti era così: in inglese per i tipi della Cambridge University Press. (Due settimane dopo, quando tornai a cercarne un’altra copia, era gia’ sold out!). E presto,è diventato un best seller internazionale.
Il motivo del mio ottimismo credo sia condivisibile:il successo del libro indicava che non è vero che i giovani sono spoliticizzati, ma si interessano solo quando la politica è ”di lungo respiro”, quando guarda ai grandi problemi epocali che propongono un generale e drastico cambiamento del mondo. Raro trovarne traccia nei parlamenti, i cui dibattiti destano infatti scarsa curiosità.
È così, a quel punto, che ad ogni discorso tenuto ai tanti convegni o congressi (molti sindacali) che animano la mia vita, ho cominciato sempre a concludere il mio intervento raccontando del successo del giovane marxista giapponese per stimolare ottimismo anche nei miei ascoltatori.
Sempre casualmente il 31 agosto scorso a Berlino, dove sono una delle tanti relatrici e relatori convenuti a una conferenza per la pace promossa dalla Fondazione Rosa Luxemburg, torno,per animare anche qui un po’ di ottimismo, a citare le 500.000 copie sulla decrescita comunista acquistate dai giovani giapponesi. E così scopro che Saito Kohei è a sedere proprio in quella stessa sala, assieme ad una delegazione del Partito comunista (giapponese (cui non appartiene, ma cui si è associato perché attualmente visiting professor alla vicina università di Amburgo ).
E incontrandolo mi accorgo che in realtà l’ho già conosciuto nel 2019 all’università di Pisa, dove ho insegnato per qualche anno. È qui che Maurizio Iacono, preside della facoltà di storia e filosofia (ma anche storico fondatore de Il Manifesto) ha organizzato una straordinaria conferenza internazionale su “L’attualità di Marx” assieme a Marcello Musto, napoletano ma ormai da tempo docente alla York University di Toronto, straordinario tessitore di una rete di giovani marxisti di tutti i continenti sull’attualità di Marx. Alla conferenza – di cui sono stati pubblicati gli atti – partecipò anche Maurizio Landini, credo primo dirigente sindacale a unirsi ai filosofi per riflettere sulla tradizione molto industrialista del movimento operaio e sulla nuova problematica della decrescita su cui la crisi che ci minaccia costringe tutti a riflettere. Alla base del dibattito la grande mole di appunti scritti da Marx negli ultimi anni della sua vita, su cui da tempo molti, fra cui anche Kohei, lavorano per conto di Mega (Marx e Engels Gesammte Ausgabe).
È così che l’altro giorno ci re-incontriamo a Roma ( anche con il mio direttore Andrea Fabozzi) dove Kohei è venuto per partecipare alle presentazioni del libro promosse dall’editore italiano Einaudi. Ma è solo a questo punto che la sera prima scorro l’edizione italiana del “Capitale nell’Antroprocene”, cui avevo dato solo uno sguardo frettoloso, in quanto avevo già letto il libro nell’edizione inglese. E scopro così che non è uguale a quello della Cambridge University Press che avevo acquistato: in quel titolo la parola Antroprocene è in effetti preceduta da “Marx” e non da “Capitale”; e il volume è stato scritto e pubblicato qualche mese dopo quello che io ho trovato su Amazon.
Non è uguale, dicevo, perché pur affrontando la stessa problematica si tratta di un testo rispetto a quello inglese molto semplificato, dove l’analisi del pensiero marxiano è limitata, e però resta un volume assai utile, diretto più ai militanti che ai filosofi, una dura denuncia della quantità di fake news con cui viene nascosta la portata del cambiamento necessario a impedirci di fare la fine dei dinosauri. Cui siamo invece condannati se non mettiamo mano alla demolizione del capitalismo. A differenza dei poveri animali che non sapevano cosa sarebbe accaduto, noi infatti – e questo è sconcertante – sappiamo bene cosa ci aspetta perché la scienza ci ha informato e dunque dotato delle conoscenze che possono consentire di salvarci. Pur al prezzo di una battaglia dura contro quelli che invece non vogliono vedere e preferiscono subire sorte analoga a quella delle antiche bestie pur di non disturbare l’amato capitalismo. Ormai incapaci persino di immaginare un mondo diverso, certamente più felice di quello che vorrebbe Draghi, che invoca solo più competitivo (e perciò più guerre) ed è sempre più ossessionato dal dovere di produrre sempre più merci superflue e così mandare in malora i servizi essenziali a renderci realmente più felici.
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