Ricostruzione zero, a Roma esplode la rabbia dei terremotati
La protesta A 8 mesi dal sisma che colpì il centro Italia le promesse del governo sono rimaste lettera morta. Proteste a Roma. Blocchi sulla Salaria. «Mancano le case, le prospettive, le informazioni. Nulla è operativo, i decreti del governo non sono attuativi e ogni cosa è ferma».
La protesta A 8 mesi dal sisma che colpì il centro Italia le promesse del governo sono rimaste lettera morta. Proteste a Roma. Blocchi sulla Salaria. «Mancano le case, le prospettive, le informazioni. Nulla è operativo, i decreti del governo non sono attuativi e ogni cosa è ferma».
Capire perché i terremotati siano così tanto arrabbiati è semplice. Basta darsi un’occhiata intorno: ad Arquata del Tronto tutto è com’era il 24 agosto, data della scossa che ha demolito il paese. Le case sventrate, le macerie accatastate per le strade, le crepe profondissime sui muri rimasti in piedi. In questi mesi, solo il terremoto si è ricordato dei terremotati, con uno sciame sismico che soltanto nelle ultime settimane ha cominciato a dare una tregua: perché le scosse sono state decine di migliaia, di varia intensità, e sentirle era ogni volta un richiamo dell’incubo.
SOTTO LA ROCCA DEL PAESE, sulla Salaria, in centinaia si sono radunati nella mattinata di ieri per manifestare il proprio disappunto (eufemismo) verso una ricostruzione che non è mai cominciata davvero, bloccando la strada con i trattori, esponendo cartelli, tutti riuniti sotto l’insegna della «Ri-Scossa dei terremotati». Il logo è un cuore che va in frantumi, e ogni striscione reca anche la scritta del paese presente a far sentire la propria voce: Amatrice, Accumoli e Arquata, certo, ma anche Castelluccio di Norcia, Visso, Pieve Torrina e gli altri paesi del maceratese, venuti giù con la seconda ondata sismica, quella di fine ottobre. «La terra trema, noi no», scandiscono i manifestanti. Intorno, polizia e carabinieri osservano, mentre la municipale prova a deviare il traffico che sulla Salaria ha raggiunto dimensioni imponenti, con code di oltre un’ora dopo Acquasanta Terme, in direzione Roma.
DAL GIORNO DEL GRANDE terremoto, gli abitanti sono stati semplicemente portati via dai luoghi della distruzione, lontani dagli occhi e lontani dal cuore, verso la costa, ospitati negli alberghi, in case di fortuna, da amici e parenti di città. Le promesse fatte negli ultimi mesi dal governo e dalla Regione sono rimaste lettera morta, e di mesi dal primo «non vi lasceremo soli» ne sono passati ormai sette. Prima Matteo Renzi, poi Paolo Gentiloni si sono fatti immortalare a più riprese mentre passeggiavano tra le macerie tra le Marche, il Lazio e l’Umbria, ma alle parole non sono mai davvero seguiti i fatti. Un lungo inverno – che pure ha messo il carico sulla situazione – è passato, la primavera era stata annunciata come stagione di rinascita, ma non si vede traccia di ricostruzione. Il tempo sembra non essere passato, e la pazienza è ormai finita perché di rinvio in rinvio nessuna scadenza è stata rispettata.
I manifestanti sono scesi in strada in dieci paesi e anche a Roma, davanti a Montecitorio e al Pantheon, in rappresentanza di 131 comuni.
«IL NOSTRO È UN ULTIMATUM al governo», dicono i terremotati: «Mancano le case, le prospettive, le informazioni. Nulla è operativo, i decreti del governo non sono attuativi e ogni cosa è ferma. Gentiloni parla di fatti inesistenti: il miliardo di euro promesso non si trova da nessuna parte». E una promessa: «Se non otterremo risultati concreti a breve, siamo pronti a bloccare il Paese». Un dato su tutti immortala la situazione, poco meno che desolante: in sette mesi sono state consegnate appena venticinque casette.
«Vogliamo un cronoprogramma – dicono ancora i manifestanti –, e non ci dicano che non ci sono i soldi perché quando si tratta di salvare una banca non ci sono mai problemi. Meritiamo rispetto». Tra la piccola folla si vede qualche sindaco, diversi volti diventati consueti in questi mesi difficili, felpe con i nomi dei paesi, magliette con lo slogan «Daje Marche». Nella protesta della Capitale anche qualcuno vestito da abitante dell’antica Roma e un cartello: «Noi abbiamo costruito il Pantheon in 330 giorni, voi in sette mesi che avete fatto?».
Nel mirino ci sono tutte le autorità che, a vario titolo, hanno voce in capitolo sulla ricostruzione: oltre al governo e alle regioni, dunque, i giudizi duri sono rivolti anche al commissario per la ricostruzione Vasco Errani. C’è addirittura chi rimpiange l’operato di Bertolaso all’Aquila, dettaglio che la dice lunga su quanto i terremotati siano allo stremo. «Vogliamo un tavolo con il governo, i capigruppo di Camera e Senato e Errani – questa la richiesta dei manifestanti –, e vogliamo tutto questo entro una settimana. Siamo stanchi di aspettare e di ascoltare promesse che non vengono mai mantenute».
ALLA FINE, DAL SILENZIO dei palazzi, Gentiloni fa sapere che «i terremotati sono una priorità assoluta, lo vedrete anche nel Def». La malcelata speranza è che la protesta rientri nel silenzio. Non andrà così.
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