Ricostruire l’Ucraina dal basso, partendo dai diritti del lavoro
Crisi ucraina A Londra la conferenza della sinistra radicale "Another Ukraine is possible" risponde a quella dei governi e le istituzioni finanziarie internazionali: parità di genere, sostenibilità e transizione ecologica contro la logica del profitto degli oligarchi
Crisi ucraina A Londra la conferenza della sinistra radicale "Another Ukraine is possible" risponde a quella dei governi e le istituzioni finanziarie internazionali: parità di genere, sostenibilità e transizione ecologica contro la logica del profitto degli oligarchi
Ci sono almeno due notizie nel titolo della conferenza «Another Ukraine is possible», che si è svolta alla Derbyshire House di Londra lo scorso giugno. Innanzitutto l’esistenza di una società civile ucraina appunto «altra», critica verso le scelte del proprio governo e determinata a far pesare il suo punto di vista nel presente di devastazione causata dalla guerra, ma soprattutto nell’ottica della ricostruzione futura.
All’appuntamento, organizzato da una rete di sindacati britannici riuniti nell’iniziativa Ukraine Solidarity Campaign, hanno infatti partecipato attivisti e attiviste della sinistra radicale del paese aggredito, sigle e collettivi femministi e di difesa dei diritti sul lavoro che – pur appoggiando la resistenza contro l’invasione – non cessano di opporsi alla prospettiva neoliberale incarnata dal presidente Zelensky e dai suoi ministri (con la compiacenza, interessata, delle istituzioni europee).
«Se l’Ucraina sta sopravvivendo alla distruzione bellica è grazie allo sforzo di milioni di lavoratori comuni, soprattutto nel settore delle infrastrutture», ha affermato durante la conferenza Vitaliy Dudin, avvocato del lavoro di Kyiv e membro del movimento di sinistra Sotsialniy Rukh (Movimento sociale).
«Ma il problema è che il sistema economico e legislativo del nostro paese è stato disegnato per tutelare gli interessi degli oligarchi e dell’export di merci. Al contrario, occorre riconsiderare le priorità e valorizzare il lavoro: promuovere l’occupazione, aumentare i salari, democratizzare le decisioni sui posti di impiego con commissioni gestite a metà dallo stato e dai sindacati».
Soprattutto, conclude Dudin, è necessario rimuovere le leggi promulgate in stato di emergenza, come la 2136, che consentono ai datori di sospendere alcune disposizioni dei contratti collettivi.
«Another Ukraine is possible» si è posta esplicitamente come contro-iniziativa rispetto a un’altra conferenza che si è svolta nello stesso periodo sempre a Londra, quella «Ukraine Recovery Conference» (di cui ha dato conto il nostro giornale) che già si era riunita in Svizzera lo scorso luglio e che per la ricostruzione del paese aggredito punta tutto sul sostegno al settore privato da parte del Fondo monetario internazionale o banche statunitensi quali BlackRock e JPMorgan.
Un orizzonte – ha sottolineato alla Derbyshire House l’economista e attivista Yuliya Yurchenko, docente all’Università di Greenwich e autrice del libro Ukraine and the Empire of Capital – che approfondirebbe ulteriormente la dipendenza dell’Ucraina dal debito estero e che lascerebbe di fatto senza voce la società civile, se non quella che viene generalmente rappresentata dalle Ong.
Qui si arriva alla seconda notizia: è possibile, dunque, un’altra Ucraina? «Nella maggior parte degli stati europei, al momento, la sinistra non è al potere», ci dice Ana Oppenheim della Ukraine Solidarity Campaign, relatrice alla conferenza in qualità di membro del partito polacco Razem.
«Pertanto, il nostro principale obiettivo è creare e organizzare una spinta dal basso, extra-istituzionale. Sono molto soddisfatta che all’evento fossero presenti diverse personalità ucraine, che hanno messo l’accento su diritti del lavoro e di genere, sostenibilità e transizione ecologica rispetto alle logiche del profitto generalmente privilegiate da parte dei parlamenti nazionali ed europei e dalle grandi corporazioni».
Grazie anche alle pressioni create da gruppi come Ukraine Solidarity Campaign, alcuni piccoli traguardi sono stati raggiunti: lo scorso agosto alcuni creditori hanno accettato un congelamento di due anni sui pagamenti dei debiti da parte dello stato ucraino.
Ma è chiaro che il problema è più strutturale: la Scuola di Economia di Kyiv ha calcolato che i danni provocati dall’invasione russa ammontano a circa 138 miliardi di dollari (stima prodotta prima dell’esplosione della diga di Nova Kachovka) e il tasso di disoccupazione ha raggiunto ormai il picco senza precedenti del 35% (secondo la Banca nazionale del paese).
«A causa della guerra, i lavoratori ucraini sono stanchi e divisi e anche i sindacati stanno perdendo potere contrattuale», puntualizza per noi Vitaly Dudin. «Ma diventa sempre più chiaro come il sistema attuale non è in grado di risolvere i problemi sociali legati alla quotidianità».
In un contesto simile, riproporre “vecchie ricette” neoliberali non significa ricostruire, ma acuire le dinamiche che hanno contributo alla crisi ucraina e che, in una certa misura, hanno posto le basi per l’aggressione. Esiste dunque una lotta per la giustizia sociale che è quasi tanto importante quanto il conflitto armato: «Per certi versi, in Ucraina la grande battaglia inizierà alla fine della guerra», conclude speranzosa Oppenheim.
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