«Molti adulti come me non capiscono quello che sto facendo, – spiega al manifesto Riccardo Mercati, attivista di Ultima Generazione uscito ieri sera dal carcere di Viterbo – ma io gli rispondo che abbiamo provato tutto e non è cambiato niente. Alcuni miei soci hanno cambiato idea riguardo il movimento». 55 anni, di Arezzo e attivista di Ultima Generazione, Riccardo nella vita fa l’imprenditore e da più di un anno ha deciso di unirsi a Ultima Generazione. «Ho scoperto il movimento sui social network e mi sono incuriosito. Dopo anni in cui sono stato a guardare mi sono chiesto: cosa posso fare io?».

Il suo profilo esce fuori dai confini narrativi costruiti finora intorno agli ambientalisti, «vandali», o «eco terroristi» di Ultima Generazione. Le caratteristiche con cui viene descritto chi decide di mobilitarsi per il clima sono infatti spesso la giovane età o l’essere dei «fannulloni», ovvero non perseguono un progetto di vita socialmente accettato come l’istruzione, o la carriera lavorativa. «I mezzi di comunicazione descrivono Ultima Generazione come un gruppo di giovani mossi solo da una retorica sessantottina – spiega – e sminuiscono un movimento dalla grande profondità umana in cui si mette la propria vita a disposizione di tutti».

Il ritratto di un imprenditore di mezza età mette in crisi l’immaginario che si tenta di creare intorno al movimento perché mostra che Ultima Generazione è un gruppo trasversale e intergenerazionale che raggruppa un’ampia eterogeneità di persone, studenti ma anche chi maneggia grandi somme di denaro per produrne altro. Questo è forse il dato più politico dei movimenti per l’ambiente perché mette di fronte alla verità della crisi climatica: colpisce e riguarda tutti. Adulti, giovani, ricchi, poveri.

«Dopo aver osservato cosa stava facendo chi faceva già parte del movimento ho deciso di prendere parte alla mia prima azione. Ora si può dire che ho collezionato denunce» commenta Riccardo. Insieme a lui fino a ieri «tra 60 centimetri di cemento» in carcere c’era anche Èmma, per la quale «un’accusa di violenza privata a un movimento non violento non può esistere». «Quando abbiamo iniziato la reazione delle istituzioni era molto diversa, neanche ci portavano via – spiega Michele Giuli, attivista – poi sono iniziate ad arrivare le sanzioni amministrative, l’accusa di interruzione di pubblico servizio o resistenza a pubblico ufficiale. Ma anche di tentato omicidio colposo».

Le forme pacifiche di disobbedienza civile rappresentano ancora una novità per la magistratura, che infatti risponde ogni volta in maniera diversa. Quando l’imprenditore di Arezzo ha iniziato ad informarsi sui rischi del cambiamento climatico, negli anni novanta, i summit principali per la salvaguardia dell’ambiente sembravano essere i trattati come Kyoto e Rio de Janeiro, «ma il problema è solo peggiorato – prosegue – Abbiamo fatto sit-in, manifestazioni, Cop, appelli. Vado in strada perché è ciò che posso fare da cittadino per parlare ai governi».

Della gestione delle risorse finanziarie Riccardo ne ha fatto il suo mestiere e ha una visione chiara sulle potenzialità del denaro: «i soldi non sono il male, si possono usare per cambiare le cose. Tra le nostre richieste c’è l’istituzione di un fondo riparazione da 20 miliardi per le persone che hanno subito i danni dalla crisi. E poi, cosa me ne faccio di tutti i soldi, cosa me ne importa di guadagnare di più, se lascio ai miei figli un mondo invivibile?», si chiede.