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«Repubblica» e il sentito dire della repressione

«Repubblica» e il sentito dire della repressioneL'iniziativa alla sede della Stampa Estera a Roma del 19 maggio 2017 – Gerald Bruneau

Nell’era della post verità i giornalisti preferiscono fare gli «scoop» origliando dietro le quinte piuttosto che assistere a fatti reali. Anche quando si tratta di difendere cause giuste come quella […]

Pubblicato più di 7 anni faEdizione del 24 maggio 2017

Nell’era della post verità i giornalisti preferiscono fare gli «scoop» origliando dietro le quinte piuttosto che assistere a fatti reali. Anche quando si tratta di difendere cause giuste come quella per la verità sul caso Regeni.

Mi riferisco all’articolo pubblicato il 23 maggio da Repubblica dal titolo: «I veleni del caso Regeni “Attivisti egiziani spiati al convegno in Italia”» a firma Carlo Bonini e Giuliano Foschini.

Le intimidazioni da parte di giornalisti filo-regime al Sisi nei confronti di intellettuali egiziani e arabi impegnati per i diritti umani e per conoscere la verità sull’assassinio di Regeni sono avvenute in pubblico e avrebbero potuto essere documentate in diretta dai giornalisti citati se avessero partecipato alla conferenza stampa tenuta venerdì 19 alla stampa estera, alla quale erano stati invitati. Scontro peraltro documentato da il manifesto (20 maggio).

Invece evidentemente fa più effetto – per alcuni giornalisti e per lanciare un documentario che sarà trasmesso dalla Rai – il sentito dire che il detto esplicitamente da alcuni intellettuali arabi – come Raouf Moussad (scrittore e commediografo egiziano costretto all’esilio), Massaad Abu Fajr (novellista e militante della rivoluzione di piazza Tahrir) e Jabbar Yasin Hussin (noto poeta e scrittore iracheno in esilio) – accusati esplicitamente in sala di essere pagati dal Qatar, dall’Arabia saudita e dai Fratelli musulmani.

Tutti hanno potuto facilmente respingere le accuse per aver già dimostrato ampiamente il loro coraggio e aver scontato anni in carcere: Raouf e Jabbar per essere comunisti e Massaad, più recentemente, per difendere gli obiettivi della rivolta egiziana.

«Sono una persona libera e nessuno potrà mai comprarmi, non sono in vendita», ha detto Jabbar Yasin.

Bonini e Foschini avrebbero anche saputo che tutti gli intellettuali previsti non erano presenti per diversi motivi e che uno degli invitati non ha avuto il visto dalle autorità italiane.

Nonostante le intimidazioni, le minacce, i divieti, questa delegazione ha denunciato la situazione dei diritti umani in Egitto anche al Salone del libro di Torino.

Esprimere queste opinioni pubblicamente e non a porte chiuse è molto rischioso, soprattutto se si fa a partire da un caso come quello di Regeni che, secondo i giornalisti filo al Sisi, è una campagna montata dai Fratelli musulmani, tanto più che – dicono loro – la questione è già stata risolta dalle autorità egiziane e italiane!

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