La partita della Sardegna sta per concludersi e l’esito del braccio di ferro sarà quasi certamente il passo indietro del presidente uscente Solinas. Il governatore, sulla cui candidatura hanno puntato sino all’ultimo Lega e Partito sardo d’Azione, annuncerà salvo sorprese la rinuncia nella direzione del Psd’Az convocata per questo pomeriggio. Lo fa capire a mezza bocca lui stesso: «Quella sarà la sede dove verrà detta l’ultima parola. Sulla mia rinuncia non c’è ancora nulla di stabilito». Il confronto con la determinazione ferrea a non retrocedere ostentata sino a due giorni fa è più che eloquente.

La contropartita non può che essere il Veneto. La premier ci aveva messo il cuoricino ma per la Lega sacrificare la roccaforte era impensabile. Tutto ruota intorno al passaggio del tetto per i mandati dei governatori da 2 a 3: con Zaia candidabile non ci sono dubbi su chi correrà per la destra nel 2025. Per questo proprio ieri, nel pieno di una trattativa fra i tre leader di maggioranza che si è svolta essenzialmente a palazzo a Chigi, la Lega ha depositato la proposta di innalzare il tetto dei mandati. L’obiettivo non è solo ottenere l’assenso degli altri partiti della destra, a partire dalla recalcitrante FdI, ma anche accelerare al massimo l’iter. La modifica, insomma, dovrebbe essere introdotta dal governo per decreto, o come emendamento al dl sui mandati dei sindaci dei comuni sino a 15mila abitanti nel quadro dell’intervento governativo sull’election day.

Per Giorgia Meloni è una rinuncia dolorosa alla quale probabilmente se ne dovrà aggiungere un’altra: quella alla candidatura acchiappatutto alle elezioni europee. La premier non ha ancora deciso di sacrificare il sogno, e del resto si è data tempo sino all’ultimissimo momento. Ma la situazione e i consiglieri la spingono drasticamente in quella direzione, sulla base dello stesso ragionamento che la avrebbe convinta ad abbandonare le mire sul Veneto. Un calcolo che a palazzo Chigi riassumono così: «Non si può mettere Salvini nelle condizioni di non aver più nulla da perdere».

Quanto sia delicata e dunque a rischio la trattativa lo dimostra la reticenza senza precedenti con la quale i leader della maggioranza si sono sforzati di nasconderla e di negarne l’esistenza. Ieri mattina Salvini e Tajani erano a palazzo Chigi con la premier e l’incontro è durato a lungo. Poi, dopo una sospensione, sono tornati all’ora di pranzo e per i cronisti è stato inevitabile concludere che il summit era destinato a riprendere a tavola. Invece, dopo sei ore dalla notizia dell’incontro tenuto riservatissimo sino all’ultimo, palazzo Chigi ha sfornato una poco credibile smentita. Nessun secondo vertice a pranzo e di regionali non si è mai parlato: «Era un vertice allargato sull’immigrazione per fare il punto sulla situazione alla ripartenza». Per questo erano presenti anche il ministro Piantedosi e il sottosegretario Mantovano.

Non si tratta precisamente di una bugia. L’argomento migranti è stato affrontato. Ma il fatto che si sia davvero discusso di immigrazione non esclude che i tre leader abbiano parlato anche del problema più urgente e quello della Sardegna è davvero urgentissimo. Le liste, con indicato anche il candidato presidente, devono essere presentate lunedì prossimo ma già domani il candidato imposto da FdI ai leghisti, il sindaco di Cagliari Paolo Truzzu, ha in programma liassemblea a Quartu Sant’Elena che renderà definitiva e ufficiale la sua candidatura. Del resto, dopo l’uscita allo scoperto del ministro Lollobrigida di due giorni fa, i margini per il passo indietro di Truzzu erano diventati inesistenti. L’alternativa era tra la ricerca di un’intesa, basata sul sacrificio leghista in Sardegna e su quello meloniano in Veneto, e una disastrosa spaccatura con due candidati di destra l’un contro l’altro armati. Troppo per Salvini e troppo anche per Meloni.