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Rebus Spagna: Psoe tenta accordi, Vox perde pezzi

Rebus Spagna: Psoe tenta accordi, Vox perde pezziIl leader socialista Pedro Sánchez in parlamento – foto Ansa

Spagna Socialisti in trattativa con la sinistra indipendentista, nell’ultradestra dirigenti in fuga. Podemos in crisi economica: licenziati metà dei dipendenti e chiuse 9 sedi regionali

Pubblicato circa un anno faEdizione del 12 agosto 2023

Nonostante la canicola estiva, con record di oltre 46°, gli ingranaggi politici sono in piena azione. I numeri usciti dal voto del 23 luglio hanno reso la formazione del governo spagnolo un vero rompicapo, e il compromesso potrebbe arrivare solo al termine di un lavorio febbrile ma discreto.

Per ora si registrerebbero dei progressi nelle trattative tra socialisti ed Erc, il partito indipendentista della Sinistra Repubblicana di Catalogna, per la composizione dell’Ufficio di presidenza del nuovo Congresso che si insedierà il 17 agosto. In cambio della scelta di un socialista alla presidenza, il Psoe concederebbe ai repubblicani catalani (che, regolamento alla mano, non ne hanno diritto) la costituzione di un gruppo parlamentare autonomo. La leader di Sumar, la coalizione alla sinistra del Psoe, Yolanda Díaz, si è detta inoltre favorevole all’uso delle lingue coufficiali durante i lavori parlamentari.

Junts per Catalunya, il centrodestra indipendentista, però, mantiene uno stretto riserbo sullo stato delle trattative con i cugini di Erc e i pontieri di Psoe e Sumar. Due giudici di destra della sezione estiva del Tribunale Costituzionale hanno appena respinto il ricorso presentato dall’ex presidente della Generalitat Puigdemont e dal suo ex ministro Comìn (attualmente eurodeputati) contro l’ordine di arresto spiccato nei loro confronti dal Tribunale Supremo. Una mossa che, secondo molti, mira a boicottare un possibile patto di governo tra Psoe e Junts in cambio del quale l’ex president pretende un’amnistia per i responsabili politici oggetto di misure giudiziarie dopo il referendum per l’indipendenza del 2017.

I REPUBBLICANI però premono su Junts affinché garantisca a Pedro Sánchez il suo sostegno, obbligato per la formazione di una maggioranza di centrosinistra; «è un’occasione d’oro e non dobbiamo sprecarla» ha chiarito la neoeletta di Erc Teresa Jordà. Gli indipendentisti vogliono capitalizzare al massimo il proprio sì ad una versione allargata del governo precedente. Reclamano un referendum sull’autodeterminazione, il passaggio alla Generalitat delle tratte regionali delle ferrovie spagnole e dell’aeroporto del Prat e un consistente piano di finanziamenti statali per ridurre il deficit fiscale della regione.

I SOCIALISTI hanno già risposto picche a molte richieste, ma qualcosa dovranno concedere. Né Erc né Junts possono votare la fiducia senza ottenere contropartite importanti, e temono un’eventuale ripetizione delle elezioni se le trattative dovessero fallire. Già il 23 luglio parte dei voti di Esquerra sono andati a Psoe e Sumar mentre, all’opposto, molti elettori hanno scelto di astenersi anche per sanzionare una direzione ritenuta troppo collaborativa con Madrid.

Se l’accordo con i catalani è indispensabile, le sinistre temono che possa rendere più marginale il ruolo di Sumar nel prossimo esecutivo. La coalizione si lecca le ferite dopo il recente arretramento elettorale e soprattutto Podemos è alle prese con una crisi economica che ha convinto la direzione a licenziare metà dei dipendenti e a chiudere 9 sedi regionali. Alle amministrative di maggio gli eletti locali di Podemos sono crollati e alle nuove Cortes i viola, oggetto di numerosi veti nelle candidature da parte degli alleati, possono contare solo su 5 deputati contro i 10 conquistati dal gruppo di Yolanda Díaz, che si appresta a trasformarsi in partito autonomo.

Sul fronte opposto anche Vox sta vivendo la più grave crisi dalla sua fondazione proprio mentre l’estrema destra accede per la prima volta ad una ampia quota di potere entrando in molte giunte comunali e regionali. L’ultimo patto siglato col Pp è quello per la formazione del governo dell’Aragona, nella quale i neofranchisti avranno due assessorati e la vicepresidenza dopo aver imposto alcuni dei propri pilastri programmatici, dalla deroga alla Legge sulla Memoria alla riforma della ley trans e al taglio della tassazione sui ricchi.

Ciononostante, la sconfitta elettorale – meno 19 deputati e 600 mila voti – ha fatto detonare il conflitto, prima latente, tra le due principali anime di Vox e numerosi dirigenti hanno dato forfait. Prima si è dimesso dagli incarichi di partito e da deputato Iván Espinosa de los Monteros, ex segretario generale e poi capogruppo al Congresso; poi il suo sostituto Juan Luis Steegmann.

LA FAZIONE CONSERVATRICE e liberista accusa il segretario Abascal di essersi circondato di un cerchio magico di fedelissimi, relegando in secondo piano i dirigenti storici, e di favorire l’ascesa della corrente ideologicamente reazionaria e fondamentalista cattolica ma protezionista in campo economico. A chiarire l’oggetto della faida è stato Rubén Manso, un esponente liberista tenuto fuori dalle liste, che a Cadena Cope ha detto che un ritorno imminente alle elezioni per Vox sarebbe “mortale” denunciando la «deriva nazional-cattolicista» del partito.

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