Rebecca Moccia, indagine aperta sulla solitudine, un’emozione tutta politica
Intervista Alla Biennale di Gwangju, Corea del Sud, l'artista italiana presenta la sua opera «Ministries of Loneliness»
Intervista Alla Biennale di Gwangju, Corea del Sud, l'artista italiana presenta la sua opera «Ministries of Loneliness»
È lo spazio visivo e sonoro il punto nodale della 15/a edizione della Biennale di Gwangju, Pansori. A Soundscape of the 21st Century. Il direttore artistico Nicolas Bourriaud, ha ideato la sua mostra come una echo chamber, dove le opere di 72 artisti e collettivi provenienti da oltre 30 paesi, risuonano tra loro, nelle atmosfere cupe e immersive della Gwangju Biennale Exhibition Hall e in otto personali nel quartiere di YangNim.
Fondata nel 1995, la biennale aveva l’obiettivo di sanare la storia traumatica della rivolta del Maggio 1980 quando migliaia di studenti, professori e sindacalisti che manifestavano contro la dittatura di Chun Doo-hwan sono stati uccisi durante i nove giorni di repressione organizzati dal regime sudcoreano. Nonostante questo, Chun è rimasto in carica fino al 1988, e il massacro di Gwangju è stato raccontato ai sudcoreani come il risultato di una rivolta comunista. Le richieste dei manifestanti riguardavano invece l’attuazione di riforme democratiche, la ricostituzione delle unioni studentesche, l’abolizione della legge marziale e la riabilitazione dei diritti rimossi dalla dittatura.
Pansori, a Soundscape of the 21st Century è riuscita per questa edizione a triplicare il numero dei padiglioni collaterali, che sono più di una trentina. Per la seconda volta è presente il Padiglione Italia con il progetto Ministries of Loneliness di Rebecca Moccia. Ospitata presso il Dong-gok Museum of Art (fino al primo dicembre), l’installazione indaga il tema della solitudine, stato emotivo di cui non si può parlare nella società contemporanea, basata su false credenze di felicità e iper-connessione digitale.
La mostra raccoglie un video-saggio, una serie di ritratti fotografici termici intitolati Cold As You Are, sorta di reportage «emotivo» dei corpi incontrati da Moccia nel corso della sua ricerca, un centinaio di opere in ceramica che visualizzano la Loneliness Scale, sviluppata dall’Università della California nel 1978 per valutare il livello di solitudine di una persona, e diversi materiali archivio documenti raccolti nel corso del progetto. Abbiamo incontrato l’artista.
Lei ha analizzato la solitudine, non come una questione personale, ma sociale, come le tabelle dei costi economici, conseguenze di quel disagio emotivo. Come si è avvicinata alle persone e ai luoghi da riprendere?
La ricerca è iniziata nel 2021 durante la pandemia, e si è strutturata come un’indagine artistica che ha assunto la forma di un viaggio. Nell’allontanarmi da una visione retorica e stigmatizzata di questo stato emotivo, mi sono servita degli strumenti della ricerca sociologica, psicologica, ma non ho condotto uno studio scientifico/accademico. Ho compiuto un percorso che si è mosso per suggestioni e intuizioni, che mi ha coinvolta in prima persona. I luoghi, gli individui, le tabelle, che sono entrati a far parte del lavoro, non sono state selezionate a priori ma sono il risultato di incontri: ognuno mi ha fornito indicazioni per proseguire la ricerca. Così è stato per Shige, che ho incontrato nel suo chiosco di mochi a Tojinbo, località turistica sul Mar del Giappone, su consiglio della professoressa Moriyama, membro dell’Istituto di Social Ethics dell’Università Nanzan che mi ospitava in residenza.
Ha esplorato la solitudine in Giappone, Stati Uniti, Italia e Inghilterra. Nel video vi sono agenzie come Cuddle Buddy e Rent a friend, gli Hikikomori, e per il Padiglione Italia alla Biennale di Gwangju ha realizzato un nuovo video a Seoul. La Corea del Sud è attualmente il Paese dell’Ocse con il più alto tasso di suicidi, con un drammatico aumento del 230% negli ultimi anni- Può parlarci della sua esperienza a Seoul?
A seguito dell’invito dell’Istituto italiano di cultura a Seoul per il Padiglione, ho trascorso due periodi di residenza in Corea, presso il Seoul Institute of the Arts, partner istituzionale del progetto espositivo insieme all’ambasciata d’Italia in Corea, il ministero degli Affari esteri e della cooperazione Internazionale, e alla galleria Mazzoleni. Al Seoul Institute of the Arts ho realizzato un workshop di ricerca e filming con studenti e studentesse. Attraverso i loro occhi ho incontrato la solitudine legata al senso di «weness», parola che in coreano indica lo stato psicologico che si crea quando una società collettivista incontra la competizione dell’economia neoliberale. Invece di concentrarci sulle conseguenze più estreme della solitudine abbiamo indagato come essa permei la quotidianità. Mi hanno raccontato delle estenuanti prove per entrare nelle migliori università, e delle migrazioni interne al paese per vivere a Seoul. Scelte vissute come isolamenti volontari, nel disperato tentativo di identificarsi in un contesto collettivo, scelte che permettono di avere uno status sociale accettabile, e il livello A nella classificazione degli utenti delle agenzie matrimoniali, che sono molto diffuse nel paese. Fondamentale è stato il contributo della curatrice della mostra Soik Jung. Grazie alla sua esperienza abbiamo rintracciato studi psicologici e sociologici legati alla solitudine in Corea, materiali chiave per le discussioni durante il workshop.
Ci sono autori/autrici che l’hanno accompagnata in questo viaggio? Ha visitato l’archivio di Hannah Arendt a New York…
La ricerca è stata accompagnata da autori e autrici che si sono confrontati/e sulla solitudine da diversi punti di vista. Prima fra tutte Hannah Arendt, di cui ho visitato l’archivio presso il Bard College di NY. Nei suoi testi ha raccontato la solitudine del nostro tempo come una «solitudine politica» connotata da un senso di «worldlessness», ovvero di privazione del nesso di relazioni che costituiscono il senso comune. Ma ho avuto come riferimento anche la storica delle emozioni Bound Alberti che nel suo A Biography of Loneliness. The History of an Emotion (2019) racconta l’emergere di questa emozione dopo la seconda rivoluzione industriale, fornendone una prospettiva storica che contraddice l’idea che la solitudine sia qualcosa di connaturato all’essere umano. Significative le opere di Olivia Laing come il suo romanzo The Lonely City (2016) e il film Family Romance (2019) di Werner Herzog che narra di un’agenzia giapponese i cui impiegati e impiegate vengono ingaggiati/e per sopperire a carenze affettive e familiari.
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