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Rayan nel buco nero del Rif

Rayan nel buco nero del RifI soccorritori marocchini nel villaggio di Ighrane, al lavoro da giorni per liberare da un pozzo un bambino di cinque anni, Rayan – Ap/Mosa'ab Elshamy

Marocco Dopo giorni di lavoro i soccorritori marocchini hanno liberato il bambino di 5 anni intrappolato a 32 metri di profondità. Ma purtroppo poco dopo si è spento in ospedale. Sullo sfondo una regione marginalizzata che da Rabat ha solo repressione. Il villaggio si trova a pochi chilometri da Al-Hoceima, dove il movimento dell’Hirak scese in piazza (invano) per chiedere investimenti, lavoro e lotta alla corruzione

Pubblicato quasi 3 anni faEdizione del 6 febbraio 2022

Nota della redazione: Nella serata di ieri, quando il giornale era già in tipografia, Rayan è stato estratto dal pozzo dai soccorritori e portato in ospedale. Ma non ce l’ha fatta. Un comunicato del re del Marocco ne ha reso nota la morte. Pubblichiamo a seguire l’articolo sulla sua vicenda, scritto prima della notizia.

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Rayan vive a Ighrane, un villaggio nel nord del Marocco, nella regione del Rif. Martedì primo febbraio è caduto in un pozzo profondo 32 metri e largo da 30 a 20 centimetri.

Ha cinque anni, uno in meno di quanti ne aveva Alfredo Rampi quando nel 1981 finì in un pozzo a Vermicino, poco fuori Roma. Nel 1981 l’Italia non aveva la sua protezione civile, che nascerà proprio dopo la tragica fine di Alfredo Rampi.

Per tre giorni i soccorsi furono condizionati da impreparazione e improvvisazione. Il Marocco invece si è dotato nel 2014 di una squadra con classificazione Insarag, International Search and Rescue Advisory Group, che certifica la capacità di una squadra di ricerca e soccorso di intervenire dopo una catastrofe di grandi dimensioni, in particolare dopo forti eventi sismici, ma ha anche competenze specifiche nella gestione di crisi, nella ricerca e nel soccorso di vittime, nella medicina d’urgenza e nella logistica. È stato il primo paese africano a dotarsi di questo corpo che oggi opera nel villaggio di Ighrane per evitare la sorte che invece è toccata a Alfredo Rampi.

La regione in cui vive Rayan è abitata dagli Amazigh, berberi che vivono queste montagne da prima che arrivassero gli arabi. La popolazione è una minoranza che ha mantenuto la propria identità e la lingua, l’Amazigh, che solo nel 2011 è stata riconosciuta lingua ufficiale di Stato insieme all’arabo.

Nonostante questo riconoscimento, l’arretratezza di questa parte di Marocco è violenta, come lo sono le repressioni del Regno ogni qualvolta si è trovato a fare i conti con le proteste. Come quella da cui sono nate le primavere arabe nel 2011; o ancora prima i movimenti del 1958-1959 per l’autonomia repressi dal governo monarchico, indipendente dalla Spagna solo da pochi anni.

Il villaggio di Rayan si trova a pochi km da Al-Hoceima, dove nel 2016 le proteste per la morte del venditore ambulante di pesce Mouhcine Fikri avevano dato origine a nuove ondate di ribellione, guidate da Nasser Zefzafi.

Il movimento dell’Hirak chiedeva sviluppo locale per il territorio del Rif: investimenti, creazione di posti di lavoro, nuove infrastrutture, come ospedali e università; lotta all’abuso di potere e alla corruzione. Zefzafi nel 2017 fu arrestato e condannato a 20 anni di carcere per quelle rivolte, trasportato con un elicottero in una prigione del Regno.

Oggi il Regno del Marocco torna tra le montagne del Rif, di nuovo con un elicottero. Stavolta non per reprimere, ma per salvare la vita di Rayan. L’elicottero, a breve distanza dalle attrezzature in funzione per scavare un tunnel parallelo al pozzo, aspetta l’uscita del bambino per portarlo in ospedale.

Sono servite più di 100 ore di lavoro con sei escavatori a sbancare la montagna. Mentre scriviamo sono a un soffio da Ryan, l’hanno quasi raggiunto ma non ancora portato in salvo. Le squadre di soccorso hanno scavato un cratere di 30 metri, parallelo al pozzo, poi con i picconi un corridoio orizzontale.

C’è in ballo un dispiego di forze senza limiti di budget, decretato dal governo marocchino in seduta speciale. «Ci siamo quasi», ha detto uno dei leader dell’operazione, Abdesalam Makoudi, aggiungendo: «La stanchezza sta aumentando, ma l’intera squadra di soccorso sta resistendo». Venerdì sera alla televisione pubblica 2M il padre di Rayan ha espresso la speranza di poter riabbracciare il figli: «Ringrazio tutti coloro che sono coinvolti e che ci supportano in Marocco e altrove».

La madre ha detto ai media marocchini che Rayan stava giocando nelle vicinanze quando è scomparso martedì pomeriggio. «L’intera famiglia è andata a cercarlo, poi ci siamo resi conto che era caduto nel pozzo», ha detto.

Le immagini riprese da una camera calata nello stretto foro sono rimbalzate in tutto il mondo spinte dall’attenzione mediatica soffocante che anche fisicamente circonda i lavori dei soccorritori. È intervenuto anche il portavoce del Re con la raccomandazione di lasciare liberi gli uomini della protezione civile di svolgere il loro lavoro.

Mancano pochi metri per raggiungere il bambino, ma secondo gli ingegneri sono quelli più difficili: da ore l’ultimo ostacolo, una roccia, viene picconata ma si avanza lentamente. I tubi inseriti tra il tunnel scavato dai soccorritori e il pozzo, per consolidare il passaggio di raccordo, spingono contro la roccia.

Fuori dal pozzo dove era finito Alfredino l’Italia era un paese scosso dalla scoperta della P2. Il 26 maggio 1981 il presidente del Consiglio Forlani si dimetterà a seguito dello scandalo della loggia Propaganda 2 e alla conseguente pubblicazione delle liste dei suoi appartenenti: 44 parlamentari di cui 19 della Dc, 9 del Psi, 6 del Psdi, 3 del Pri, 4 del Msi, 3 del Pli. L’unico partito non coinvolto fu il Pci.

La loggia massonica segreta, di carattere eversivo, guidata da Licio Gelli a partire dal 1970 in qualità di Gran Maestro è finita al centro dei principali scandali della storia italiana degli ultimi trent’anni: dalla strage di Bologna allo scandalo del Banco Ambrosiano, passando per il tentato golpe Borghese, il sequestro Moro e Tangentopoli.

Qualcuno ipotizzò che quello che accadde al piccolo Alfredo fu un artificio per distrarre l’attenzione, con la prima diretta no stop della Rai che dava la possibilità agli italiani di unirsi alle ricerche: la nascita della tv del dolore.

Il Marocco, secondo lo studioso Maâti Monjib, sta attraversando il periodo più autoritario della sua storia recente procedendo spedito verso una deriva securitaria del regime con la repressione della stampa, i casi di tortura a oppositori della politica di Mohammed VI, con le componenti di governo che si sono succedute negli anni a fare la figura degli sparring partner.

Ultima, la problematica normalizzazione dei rapporti con Israele. Con l’attenzione internazionale su di sé, tramite i social network del dolore, il Re ha mobilitato tutte le forze in termini di uomini e mezzi per portare in salvo Rayan; ma domani per gli abitanti del Rif il volto del governo non sarà più quello mostrato oggi al resto del mondo.

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