Sabato 6 maggio si terrà una manifestazione nazionale a Ravenna (partenza da piazzale Farini ore 14) contro il rigassificatore che sta per piombare sulle coste davanti alla città.

Una gigantesca nave capace di rigassificare 5 miliardi di metri cubi l’anno, lunga 300 metri e alta quasi 50, che porterà il GNL (gas naturale liquefatto) dallo stato liquido (a -162°) allo stato gassoso.

In Italia ci sono già 3 rigassificatori funzionanti, al largo di Livorno, nel porto di Panigaglia e al largo di Porto Viro.

Sull’onda della guerra in Ucraina, la Snam ha acquistato (per circa 300 milioni di euro l’uno) tre nuovi rigassificatori galleggianti, uno destinato a Piombino (Golar Tundra), l’altro a Ravenna (BW Singapore) e il terzo in Sardegna (Golar Artic).

A Piombino la Golar Tundra è già entrata in porto, accolta dalla durissima opposizione della cittadinanza, sindaco compreso, che ha intentato un ricorso al Tar insieme a comitati e associazioni.

A differenza di Piombino, a Ravenna i comitati non possono contare sull’appoggio del sindaco Michele De Pascale (PS) che è invece un grande sostenitore del rigassificatore, tanto da non escludere di ospitarne un secondo, quello che dovrebbe essere spostato da Piombino in Adriatico tra tre anni.

Stefano Bonaccini, presidente della Regione Emilia-Romagna e nominato dal governo Draghi Commissario straordinario per l’opera di Ravenna, considera la sua regione un «hub nazionale per il gas grazie al porto di Ravenna» (così si legge nel sito ufficiale della regione), in consonanza con le posizioni del governo Meloni.

«Ci hanno imposto il rigassificatore con la scusa dell’emergenza energetica, ma sarà attivo solo dalla seconda metà del 2024. Che emergenza è? – commenta con amarezza Pippo Tadolini, coordinatore del Coordinamento Ravennate Per il Clima Fuori dal Fossile – Durante l’ultimo anno l’Eni ha esportato svariati miliardi di metri cubi di gas e fatto notevoli profitti. Questo rigassificatore non è per i cittadini, ma fa parte di una strategia che vuole rendere l’Italia un grande deposito di gas a servizio dell’Europa, incrementando i profitti delle multinazionali».

Il rigassificatore sarà posizionato a 8 km e mezzo dalla linea di costa da Punta Marina, collegato da un metanodotto in mare e altri 34 km a terra, per portare il gas nella rete di distribuzione a nord ovest di Ravenna. «Circonda la parte sud di Ravenna passando in prossimità della basilica di Sant’Apollinare in Classe, tra valli, fiumi, campagne. L’impatto sul territorio è molto pesante – spiega Tadolini – e anche i costi di queste infrastrutture saranno notevoli».

GREENPEACE DENUNCIA che il normale funzionamento di un rigassificatore prevede l’uso di varechina (NaClO) a ciclo continuo, quale antivegetativo. Enormi quantità di acqua marina passano in questi tubi, per poi essere restituiti al mare freddi, clorati e sterilizzati, con il rischio di composti organo-clorurati tossici, mutageni, non facilmente biodegradabili che entrano nel ciclo alimentare.

«I fondali dell’Adriatico sono bassi, saranno probabilmente necessari dragaggi frequenti per la sua installazione e permanenza – spiega Tadolini – Per non parlare delle circa 50 navi gasiere l’anno che ci gireranno attorno».

LE PERDITE DI METANO, potente gas climalterante, sono una possibilità tutt’altro che remota: secondo l’indagine dell’Associazione Clean Air Task Force del 2021 (sui dati Snam), le emissioni accidentali in atmosfera di gas dal 2008 al 2020, rispetto al rigassificatore di Panigaglia (La Spezia) sono passate da 227 tonnellate annue a 786 tonnellate.

«I rigassificatori implicano un proliferare di navi metaniere in mare, depositi di GNL sparsi nelle coste, con aumento del rischio di incidenti. Se poi pensiamo che il GNL proviene da migliaia di km di distanza, comprendiamo bene lo spreco di energia. Le zone dove questo gas viene estratto (Usa, Medio Oriente, Africa) non sono esattamente paesi democratici, e tra le tecniche utilizzate c’è il fracking, devastante per l’ambiente e le falde acquifere», spiega Nadia d’Arco, portavoce della Rete no Rigass-no GNL nazionale.

«La manifestazione di sabato si inserisce all’interno del percorso Territori in Cammino. Finora ci sono state manifestazioni a Piombino, in Sardegna, a Napoli e continueremo anche nei prossimi mesi a manifestare nei territori feriti dal modello estrattivista, destinati ad ospitare rigassificatori e infrastrutture per il gas».

Ravenna è a una svolta: dopo decenni vissuta al traino dell’Oil and Gas, con le sue ricchezze e le sue maledizioni, deve decidere se affrancarsi. «Non è facile risvegliare la società civile, ma vedo che c’è interesse e piano piano la gente diventa più critica. Pensate che Ravenna negli anni ’80 doveva ospitare una centrale a carbone, che non si fece per la forte opposizione popolare e dell’associazionismo. Si disse allora che il metano era un fossile di transizione, ma dopo 40 anni questa transizione è finita e dobbiamo cambiare strada, puntare sulle rinnovabili».

A RAVENNA C’È SEMPRE IN BALLO il CCS, il progetto di cattura e stoccaggio della CO2 in bacini vuoti sotterranei: «Non se ne parla molto, ma sta andando avanti sotto traccia -avverte Tadolini – c’è già stato l’accordo tra Descalzi (Eni) e Venier (Snam). Questo progetto assurdo, costoso e pericoloso, ci legherà ancora di più al fossile e all’estrattivismo».

La manifestazione di sabato prossimo è convocata dalla Campagna Per il Clima – Fuori dal Fossile, dalla Rete Emergenza Climatica e Ambientale dell’ Emilia Romagna e dalla Rete No Rigass – No GNL, con l’adesione di una nutrita schiera di associazioni e comitati locali tra cui, in prima fila, le associazioni femministe di Ravenna, rappresentate da Casa delle Donne, Femminile Maschile Plurale, Donne in Nero e Unione Donne Italiane, a testimonianza di come la vertenza ecologista e quella femminista si intreccino per un futuro di rapporti liberi dalla visione patriarcale e predatoria.

Parteciperanno alla manifestazione tantissime associazioni e comitati da tutta Italia tra cui il collettivo Gkn, i Cobas, l’Usb, l’area Le Radici del sindacato Cgil, l’Unione Sindacale Italiana e tanti altri.

«Gutta cavat lapidem è il mio motto – conclude Pippo Tadolini – sembra impossibile sconfiggere questi colossi del fossile, ma se una goccia scava la roccia, anche noi ci riusciremo».